Killer in cella dopo 4 anni di caccia

Determinazione, forza di volontà e tenacia. Gli investigatori della sezione omicidi della squadra mobile si sono dedicati 4 anni ininterrottamente alla soluzione di un omicidio avvenuto nel 2010 a Legnano. Viaggiando per l'Italia e l'Europa e non rinunciando mai, nemmeno davanti ai tanti punti morti o agli angoli ciechi di questa insolita inchiesta. L'altroieri hanno arrestato finalmente il rapinatore e poi omicida di un operaio tunisino 52enne, Mohamed Ben Kalifa, da tutti conosciuto come «Mimmo», rapinato, poi soffocato nella notte tra il 6 e il 7 maggio di quattro anni fa ma trovato cadavere, ormai mummificato, solo tre mesi e mezzo dopo, il 19 agosto, nel suo appartamento al terzo piano di un caseggiato malandato in via Garcia Lorca 5, al rione Canazza. L'uomo finito in manette si chiama Khaled Fedaoui, ha 26 anni, anche lui è tunisino e ha diversi precedenti. È arrivato a Milano venerdì mattina, consegnato qualche ora prima a Domodossola alle autorità italiane dalla polizia svizzera che lo ha prelevato dal carcere ginevrino di Champ Dollon dove si trovava da diversi mesi per altri reati, sostenendo di chiamarsi Walid Segmi e di essere algerino.
Come ha spiegato ieri il dirigente della Mobile Alessandro Giuliano, Mimmo e Khaled erano amici e nel 2010 e si frequentavano. Il cadavere del poveretto venne rinvenuto il 19 agosto 2010 e la scena era raccapricciante: imbavagliato, incaprettato, caviglie e piedi stretti con alcuni ritagli di tela colorata, una gamba legata alla rete del letto con un filo elettrico, un caos totale come chi ha frugato ovunque per rubare quel che poteva. Eccolo lì - pensarono i poliziotti - il proprietario dell'Opel Astra che giaceva, dalla sera del 7 maggio in un autoparco dopo che loro stessi quella notte di oltre tre mesi prima l'avevano trovata incidentata e abbandonata per strada. Gli agenti, infatti, allora avevano cercato di rintracciare l'intestatario della vettura, un operaio tunisino. E non trovandolo a casa, in via Garcia Lorca, gli avevano lasciato un biglietto nella cassetta della posta. Il nordafricano però non si presentò mai per reclamare la macchina e la cosa rimase sospesa lì. Così il 19 agosto la stessa pattuglia tornando nello medesimo stabile per un altro intervento si rammentò di quella Opel. «L'avete più rivisto il tunisino?» chiesero allora ai vicini. I residenti risposero che no, che Mimmo non lo incontravano da un pezzo, ma la tivù in casa sua andava ininterrottamente da oltre tre mesi. Chiamati i vigili del fuoco e forzata la porta (non c'erano segni di effrazione) si capì che Mimmo se n'era andato al creatore da un pezzo ma non per sua scelta.
Inseguendo le tracce dei telefonini rubati dall'assassino nell'appartamento, delle molte tessere sim lasciate dal morto e da tempo inutilizzate, i movimenti del suo bancomat, ma anche custodendo il Dna dell'assassino, trovato nell'appartamento e nella Opel con la quale aveva cercato di scappare dopo l'omicidio e che aveva abbandonato dopo uno scontro, in questi anni gli investigatori della Mobile sono risaliti a un gruppo di nordafricani che avevano incrociato Mimmo nella sua vita milanese. Rintracciano subito un maghrebino ad Andria, che conosceva Mimmo quando era a Milano. Quest'uomo conduce la polizia a un barbone nordafricano, che dorme sui convogli dei vagoni morti della Centrale e che, a sua volta, pur non conoscendo personalmente il morto, fa per primo il nome di tale Khaled definendolo «amico» di Mimmo e descrivendo una sua particolarità: una fessura tra gli incisivi. Sempre attraverso i telefoni rubati, alcuni ormai ricettati, la polizia risale a un tunisino rinchiuso nel centro di accoglienza di Lampedusa: il suo Dna è simile ma non uguale a quello trovato sul luogo del delitto. I parenti di questo immigrato vivono tutti in Francia tra Lille, Parigi e Marsiglia ma tra loro manca proprio il tizio con quegli strani incisivi, Khaled. A quel punto è Facebook che conduce i pazienti investigatori in Svizzera, a Ginevra e, quindi, all'assassino di Mimmo.
Resta indagato, R.C.

, il poliziotto centralinista del commissariato di Legnano che nel giro di 24 ore, tra il 6 e il 7 maggio 2010, sottovalutò ben due chiamate giunte al 113: nella prima una donna segnalava i «rumori sospetti», seguiti alla rapina di via Lorca e, la notte dopo i lamenti di un uomo «forse imbavagliato» spiegò la stessa signora: il centralinista non inviò mai una pattuglia a quell'indirizzo.

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