Il killer del tribunale sul luogo del delitto «Ora mi sto agitando»

Claudio Giardiello in aula per un altro processo: fece irruzione in uno studio legale (ma disarmato)

Luca FazzoPer un anno Claudio Giardiello non è tornato sul luogo del delitto, in quel tribunale che il 9 aprile 2015 insanguinò con una mattina di violenza senza precedenti. Alla fine del folle raid dell'imprenditore, a palazzo di giustizia si contarono tre morti: il giudice Fernando Ciampi, il giovane avvocato Lorenzo Claris Appiani e Giorgio Erba, ex socio e coimputato di Gardiello. Oggi, una targa li ricorda davanti all'aula dove esplose la furia calibro 9 di quest'uomo un tempo normale. E che ieri, a quasi un anno di distanza da quella mattina di un giorno da cani, scivola nei corridoi circondato dagli agenti, senza guardare l'aula della mattanza. «Mi sto agitando», sussurra solo, sotto il pressing dei cronisti, come implorando agli agenti di allungare il passo, di riportarlo in cella. Forse non è stata una bella idea, tornare sul luogo del delitto.Peraltro non ne valeva granchè la pena: ad attendere Giardiello ieri in aula era un piccolo processo per avere fatto irruzione qualche anno fa (in quel caso disarmato, fortunatamente) nello studio del suo legale dell'epoca. Processo rinviato, anche perché il pm si era dimenticato il fascicolo. Così, Giardiello dopo pochi minuti lascia l'aula, sotto le forche caudine dei massmedia: torna verso la sua cella, e verso l'altro processo che lo attende, quello per il triplice omicidio del 9 aprile. E che purtroppo si celebrerà a Brescia con rito abbreviato, a porte chiuse, senza sentire altri testimoni: col rischio che restino inesplorati i punti ancora oscuri dei tragici fatti del 9 aprile.Punti che esistono, e che sono delicati. Perché la responsabilità di Giardiello è ovvia, confessa, e lo avvia quasi inevitabilmente verso l'ergastolo, nonostante lo sconto per il rito abbreviato. Ma la mancanza di controlli che ha permesso all'imprenditore fallito di entrare in tribunale con un'arma da guerra difficilmente può essere liquidata utilizzando come capro espiatorio il metronotte in servizio all'entrata di via San Barnaba, e che si sarebbe fatto passare sotto il naso la valigetta con la pistola. Non c'è, peraltro, alcuna certezza che la pistola sia stata portata da Giardiello dentro il palazzaccio proprio quella mattina, e non sia stata imboscata nei giorni precedenti. Ma in ogni caso l'idea che la sicurezza di un obiettivo a rischio come il tribunale sia affidata solo all'occhio umano di un vigilante è considerata inaccettabile da alcuni avvocati delle vittime, che chiedono che siano chiamati in causa anche i responsabili amministrativi della gestione del palazzo di giustizia.Il precedente che viene evocato è la strage di Linate dell'ottobre 2001, per la quale venne condannato non solo il controllore di volo responsabile dell'errore umano, ma anche i vertici dell'Enav che non avevano impiantato il radar di terra nell'aeroporto di viale Forlanini. Il problema è che se lo stesso criterio venisse applicato al delitto di Giardiello, si chiamerebbero in causa responsabilità delicate.

La sicurezza complessiva del Palazzo di giustizia è affidata alla commissione manutenzione, alla cui testa c'è il presidente della Corte d'appello: all'epoca dei fatti era Giovanni Canzio, attualmente primo presidente della Corte di Cassazione. E la vigilanza spetta alla Procura generale, all'epoca guidata da Manlio Minale, poi scomparso.

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