L’ex comandante del nucleo informativo dei carabinieri «L’ordine pubblico è un mestiere sempre più difficile»

L’ex comandante del nucleo informativo dei carabinieri «L’ordine pubblico è un mestiere sempre più difficile»

Alla fine il colonnello Andrea Chittaro ha perso il conto dei cortei e dei chilometri. Per lunghi anni alla guida del Nucleo Informativo dei carabinieri milanesi, nelle manifestazioni dei centri sociali era una presenza fissa: quando le cose andavano bene, e quando andavano male. E adesso che ha lasciato l’Arma, è sta a capo della sicurezza di un colosso quotato in Borsa, legge con un po’ di raccapriccio i giudizi in libertà su cosa accade quando in una strada o in una valle forze dell’ordine e manifestanti vengono a contatto. «La verità - dice - è che l’ordine pubblico è una materia difficilissima. Vanno prese nel giro di pochi istanti decisioni complesse. E non sei seduto a una scrivania, ma in mezzo alla strada, mentre magari ti sta piovendo addosso di tutto».
Come si gestisce il rapporto con l’altra parte, con chi cerca di trasformare cortei pacifici in guerriglia urbana?
«La linea è: trattare sempre, finchè si può. Il dialogo è indispensabile, e anche con i portavoce delle frange più estreme si riesce a volte a ragionare. Sono possibili piccole concessioni: una modifica del tracciato concordato, una tolleranze verso aggressioni verbali. Anche i loro leader, d’altronde, spesso devono rendere conto alla base, portare a casa qualche risultato anche simbolico».
Ma poi a volte arriva il momento in cui il dialogo si ferma, e spuntano di qua le mazze e di là i manganelli.
«E lì cominciano i problemi, perché la tattica dei violenti è sempre quella: non isolarsi, mescolarsi a macchia di leopardo con il corteo pacifico, fare in modo che qualunque reazione delle forze di polizia possa essere accusata di avere investito manifestanti inermi. A volte, come a Roma l’anno scorso, fortunatamente accade che siano i manifestanti “buoni” a isolare e a cacciare i violenti. Ma non sempre questo avviene. E le forze di polizia si trovano di fronte a un avversario che si fa scudo di gente pacifica. Non è una situazione piacevole, posso garantirlo».
Come gestisce un comandante il rapporto con i suoi uomini, con i carabinieri che stanno in prima linea? Come si convincono a non reagire a provocazioni e insulti?
«Il lavoro comincia prima, quando si scelgono e si addestrano gli uomini. Gli si spiega chiaramente l’approccio psicologico che deve avere un operatore di ordine pubblico. Non è un lavoro da Rambo. Gli si fa capire che ogni bellicosità potenziale deve essere accantonata. Che la voglia di menare le mani è il difetto peggiore che uno di loro possa avere. Gli si spiega che un carabiniere in quelle circostanze ha gli occhi di tutti addosso, e ciò che viene perdonato ad un manifestante non viene perdonato agli uomini delle forze dell’ordine. Quindi: tutela del self control, e utilizzo della forza solo come ultima ratio, sapendo che il compito primario è quello di tutelare l’incolumità delle persone che non c’entrano. Certo, quando ti insultano non è facile stare calmi, ma credo che ognuno degli uomini trovi dentro di sè le risorse psicologiche per non esasperarsi. Fermo restando che l’esempio dei comandanti è decisivo: se il superiore non è anche lui in prima linea, o se è il primo ad agitarsi, non si può pretendere che chi sta ai suoi ordini mantenga il sangue freddo».


Il carabiniere della Val di Susa c’è riuscito.
«Ha fatto benissimo il comando generale dell’Arma ad encomiarlo. Ma la risposta del carabiniere, “ho fatto solo il mio dovere”, è stata ancora più straordinaria. Ci ho visto l’eroismo della normalità».

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