Un documento interno alla «cordata» costruttrice, sequestrato nel corso degli indagini e ora allegato agli atti. É questo documento che, secondo la Procura della Repubblica, dimostra con chiarezza che le aziende coinvolte nel «P.i.i.Calchi Taeggi-Bisceglie-Zoia», la megaoperazione finita al centro dellinchiesta, erano perfettamente consapevoli della reale situazione dellex discarica. Nel documento lazienda incaricata della bonifica quantifica dettagliatamente i costi che sarebbero stati necessari per bonificare larea sul serio: 165 milioni di euro. Ovvero quasi seicento euro al metro quadrato. Sono questi conti a fare optare per una bonifica «soft»: invece di rimuovere la enorme massa di rifiuti tossici, che arriva fino a trenta metri di profondità, si sceglie di ricoprire tutto. Altrimenti, spiega il documento, lintero piano di intervento di via Calchi Taeggi costerebbe più di quanto è in grado di rendere.
Per i pm, insomma, furono considerazioni di cassa, e non una scrupolosa valutazione tecnica, a guidare le scelte. Da un certo momento in avanti, che nella grande area le cose si fossero complicate lo indica un altro elemento nel corso delle indagini: il crac di una cooperativa titolare di una parte dellappezzamento, fallita (o fatta fallire) prima del via. Obiezioni sulla fattibilità, daltronde, ne circolavano parecchie. Lo stesso consiglio di zona 6 il 13 aprile scorso aveva dato parere negativo alla realizzazione della parte più cospicua delloperazione, le due torri da 26 piani ciascuna destinate a sovrastare altri sette blocchi di edilizia residenziale. Il «no» viene motivato «in considerazione della bonifica ambientale ancora in corso e quindi della mancanza della documentazione relativa allesito della stessa con le previste misure di sicurezza, alla mancata effettuazione della valutazione di impatto ambientale relativa agli effetti sul traffico e il relativo impatto atmosferico ed acustico». Inoltre «i corpi di fabbrica, nonchè gli spazi condominiali, giardini etc, non sono permeabili al tessuto urbano e non favoriscono spazi di socializzazione».
Come si vede, nel voto contrario del Cdz, pesano soprattutto considerazioni urbanistiche.
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