Stefano GianiSe non fosse un paradosso, si potrebbe dire che la civiltà ha rovinato anche la merda. Comunque la si voglia chiamare. Tra nomi nobili e cacofonici - appunto - come deiezioni o il più asettico escrementi. Tra il confidenziale cacca, il familiare popò o lo scientifico sterco. Sia come sia, questa sostanza che accompagna il genere umano ha attraversato la cultura fin dai primordi. Quando era qualcosa di nobile. Come lo scarabeo egizio, consacrato nientemeno che al dio Sole. Un coleottero che spingeva una pallina di... Lo chiamavano stercorario ed era, a suo modo, una divinità. Vezzo o malvezzo che fosse, fu imitato dai romani che diedero al rifiuto per eccellenza la nobiltà della dea più bella. La cloaca massima era in realtà un'icona. Quella di Venere cloacina. La classe operaia va in paradiso.Da allora però, anche la merda non si è sottratta a un progressivo deterioramento. Nel '600, Tommaso Stigliani, un allievo del Marino, compose un poema in ottave, il metro classico di Ariosto e Tasso. La intitolò Merdeide ed era un dileggio. Opera antispagnola di un sudista italiano quando l'Italia era un pallido concetto. E di questa introvabile opera sono stati letti stralci, ieri alla Triennale, nella conferenza «Che serata di merda o che merda di serata». Un titolo divertente dietro il quale si celava il ruolo dello sterco nell'arte. Inteso non solo come figurativa o di ambito letterario. Ma anche cinema e televisione. Lo scrittore Andrea Kerbaker coordina gli interventi del critico Flaminio Gualdoni e del direttore del Museo della merda Gaspare Luigi Marcone, intervallati dalle letture di Mathieu Pastore.Storia di un'illusione. Quella di Piero Manzoni che nel '61 confezionò la famigerata «Merda d'artista». Una scatoletta vuota. Piena solo di un'intuizione. Oggi, dopo oltre mezzo secolo, c'è ancora chi si chiede cosa ci fosse dentro. Tradimento dell'arte che è genio e azione. Un po' come il commento del Mascetti in Amici miei, quando il Necchi (Duilio Del Prete), colto dagli spasmi nel bel mezzo di una festa, la fa nel vasino di un bimbo. Rimettendo il pargolo opportunamente sopra, a fine performance. Merda come presenza che contraddice perfino se stessa, qualche scena più tardi, diventando simbolo di assenza quando i goliardi, da dietro una siepe, raccolgono a distanza - con una vanga - la produzione dell'odiato strozzino, appartatosi per liberare il ventre. Ma rimasto allibito e preoccupato davanti all'inatteso nulla di fatto che puzzava di patologico.Merda che fu parodia dei dittatori in un celebre monologo comico, in cui Walter Chiari rifaceva il verso a Hitler concludendo il suo discorso con un perentorio «Si nun kagen, purgen». L'equazione è diretta. Dittatura come... Peccato per la merda trascurata dai relatori. Come quel pranzo di Buñuel nel Fantasma della libertà dove i commensali pranzano seduti sul water. O De Andrè che ne rivalutò l'essenza perché «dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior».
E come il beffardo Gasparo Gozzi che nel '700 la buttò sul tragicomico. «Ognun ben sa che sua natura legge, un de' più destri giuochi che far sappi è trarre una paio di calci e due corregge». Di cui si ricordò perfino il Porta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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