Cronaca locale

L'arte dei Preraffaelliti i pittori terribili che sfidarono la Storia

A Palazzo Reale 80 opere sul movimento inglese. In piazzetta anche tableaux vivant

Francesca Amè

Bisogna sentirsi parecchio gagliardi per pensare di rivoluzionare il mondo con l'arte rispolverando Dante, Chaucer, Shakespeare e i versetti della Bibbia. Eppure questo fecero i pittori Preraffaelliti: negli anni del rigore vittoriano, un manipolo di giovani artisti inglesi elesse il Medioevo e il suo piglio primitivo e sanguigno, intenso e languido, a paradigma del presente. Forse non conoscete uno per uno i loro nomi (i leader del gruppo: Dante Gabriel Rossetti, John Everett Millais, William Holman Hunt; altre firme: Ford Madox Brown, John William Waterhouse e Edward Burne-Jones), ma di sicuro dei Preraffaelliti riconoscete lo stile e alcuni quadri-icona come l'Ophelia. Sono i pittori delle donne dai capelli color tiziano e dalle lunghe vesti, dei paesaggi naturali incantati, degli interni domestici dal sapore antico grazie a una pennellata attenta a non perdersi alcun dettaglio. Sono di casa alla Tate Britain - «un po' come Il Bacio di Hayez a Brera: quadri nazional-popolari», ci dice Carol Jacobi, curator of British Art del museo londinese - ma da oggi e fino al 6 ottobre occupano il primo piano di Palazzo Reale: Preraffaelliti. Amore e desiderio, prodotta dal Comune e da 24Ore-Cultura, presenta 80 opere della collezione Tate. Oltre all'Ophelia di Millais, il dipinto del 1851 che portò fortuna a un movimento prima irriso, Amore d'aprile di Hughes, la grandiosa Lady of Shalott di Waterhouse e alcuni capolavori di Rossetti (come Monna Vanna dalla bellezza fiera e inquietante, la cui opulenza della veste, ironia della sorte, omaggia l' «odiato» Raffaello). Oggi e domani (alle 21.30, in piazzetta Reale) alcuni di questi quadri prenderanno vita in tableaux vivants, brevi rappresentazioni teatrali. Sono invece otto le sezioni di questa mostra dall'allestimento colorato (forse troppo «preraffaellita») e 18 gli artisti presentati. Per cogliere la forza di questo movimento che ha rivoluzionato l'arte dell'800 mettendosi di traverso all'estetica (e all'etica) vittoriana, bisogna scoprirne le radici. C'entra la nostra Italia: il padre di Rossetti era infatti un esule carbonaro e alle confraternite s'ispirarono i primi artisti che, con Rosetti junior, nel 1848 fondarono una «società segreta dell'arte». Velleitari? Un po' bohémien lo erano, ma determinati: per i primi anni, cosa inaudita all'epoca, firmarono con la sigla P R B (Pre-Raphaelite Brotherhood) ogni loro opera. L' armonia «posata» di Raffaello va abolita, si torna alla purezza del Medioevo: l'arte deve avere un afflato mistico se vuole denunciare i drammi del presente. Quadretti mediovali denunciano la pratica dei matrimoni combinati, Cristi con il volto di amici del gruppo rilanciano la necessità di una società più equa e solidale. «Detective poetici», li definisce Jacobi: dell'arte sacra recuperano le tecniche narrative, ma reclamano un vita moderna e non convenzionale (loro stessi hanno biografie da romanzo). Adorano l'Italia, come ricorda la storica dell'arte Maria Teresa Benedetti: il Bel Paese, Firenze in particolare, è protagonista delle loro vedute. Sbeffeggiati dalla Royal Academy (ma sostenuti dal critico John Ruskin), divennero celebrità per acclamazione del pubblico: quando, nel 1853, la confraternita si sciolse, ne aumentarono i seguaci. La cosiddetta seconda generazione, più estetizzante, strizzò l'occhio a Leonardo e Tiziano: su tela, lo vediamo nella sezione finale della mostra, compaiono miti e leggende cristiane e nordiche, con quadri sempre più misteriosi (di cui Dalì andava pazzo) che infuenzarono il Surrealismo.

Pittori solo all'apparenza innocui, furono dei radicali e se oggi, con la Brexit che incombe, la Tate sceglie di mostrare all'estero la sua collezione più nazional-popolare, è un segno da non sottovalutare.

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