Ogni mattina, in questi due anni, Davide Boni ha condiviso il suo caffè con gli amici. Un caffè preparato con una moka verde-Lega e offerto virtualmente a tutti, via facebook. Era il suo modo per mantenere un filo di familiarità e fiducia con suoi elettori, con i militanti della Lega. Ma nonostante la fiducia di tanti, doveva essere un caffè piuttosto amaro per lui.
Ora, dopo un incubo durato la bellezza di 717 giorni, i pm hanno chiesto di non processarlo, perché «gli elementi acquisiti non appaiono idonei a sostenere l'accusa in giudizio». Manca solo la firma del gip, ma ormai l'esito della vicenda è stato sostanzialmente chiarito: l'ex presidente del Consiglio regionale lombardo non era un corrotto. La notizia, di ormai cinque giorni fa, non è di poco conto, così come il personaggio. Boni due anni fa era un politico di prima grandezza della Lega. Aveva gestito un assessorato pesantissimo, quello al Territorio, e in seguito era approdato a una posizione istituzionale di grande prestigio, come la presidenza dell'assemblea legislativa regionale. Il 6 marzo 2012 era stato raggiunto da un avviso di garanzia e da un decreto di perquisizione. In quei giorni i titoli, gli articoli e i servizi giornalistici avevano abbondato. E la risonanza anche mediatica dello scandalo fu devastante. «Un incubo da ogni punto di vista», ha sintetizzato lui ad «Affaritaliani». Professionalmente ha dovuto reinventarsi. Politicamente parlando si è dimesso e la sua carriera è finita. Ha continuato a fare il militante.
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