Per prenotare una mammografia bilaterale al San Raffaele bisogna mettersi l'anima in pace e aspettare 200 giorni: vuol dire che se una donna fissa l'appuntamento oggi, verrà ricevuta ad aprile. Ci vogliono 25giorni per fare lo stesso esame al Niguarda, 56 all'istituto nazionale dei tumori, 49 al San Paolo, 34 al centro diagnostico, 156 al Sacco e 145 al San Carlo. Abbiamo preso ad esempio uno degli esami più richiesti per dimostrare che, in una paradossale inversione di rotta, le liste d'attesa sono (spesso) più lunghe negli ospedali privati che in quelli pubblici. Il primo a denunciare l'allungamento delle tempistiche per avere un appuntamento è stato, qualche giorno fa, Gabriele Pelissero, presidente dell'associazione degli ospedali privati. «Il rischio - aveva detto commentando gli ultimi tagli del governo - è di avere liste d'attesa molto più lunghe: gli ultimi tagli sacrificano in modo significativo il settore ambulatoriale».
Non solo. Parecchie province da mesi denunciano che le liste d'attesa sono raddoppiate anche negli ambulatori. E anche se l'assessore (ex) alla Sanità Mario Mantovani ha più volte ribadito che le prestazioni ambulatoriali hanno permesso di rispondere a 250mila domande in più, evidentemente non basta.
In effetti, dando una rapida occhiata alla situazione di Milano si scopre che, per un elettrocardiogramma, in certi poliambulatori bisogna aspettare anche 235 giorni (al Gola), 136 (al Doria), 142 (al Don Bosco). In altri invece ne bastano tre (al Fantoli o al Farini). I poliambulatori hanno permesso però di alleggerire il lavoro dei pronto soccorso, convogliando i «codici bianchi», cioè i casi meno gravi. Solo gli Icp contano oltre 30mila visite. Ma il rischio che le liste d'attesa aumentino va fermato subito. E lo sa bene anche il presidente della Regione Roberto Maroni. «L'iniziativa degli ambulatori aperti - sostiene - ha ridotto le attese. Ma i tagli lineari del governo rischiano davvero di far aumentare le liste, cosa che va assolutamente evitata. Quella sui costi standard è una battaglia sacrosanta. Questa è la sfida del futuro, è una battaglia che voglio fare nell'interesse dei cittadini».
C'è una speranza attorno a cui potrebbero ruotare le prossime mosse della Regione Lombardia: «Renzi - spiega Maroni - ha detto una cosa importante, ossia che i costi standard verranno messi nella legge di stabilità. Se avverrà davvero, se il premier manterrà la sua promessa, vedo un 2016 molto positivo per la sanità lombarda». Infatti «mettendo accanto alla nostra evoluzione del sistema, la prima applicazione dei costi standard, avremo molte risorse a disposizione» e «le utilizzeremo per migliorare la sanità pubblica e per dare sostegno alle strutture private che erogano un servizio pubblico».
Se venissero applicati i
costi standard, la Lombardia potrebbe contare su 8 miliardi di risorse in più, da investire sia nel pubblico sia nel privato. «E se tutti gestissero i soldi come noi - sostiene Maroni - lo Stato risparmierebbe 23 miliardi».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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