«I miei colleghi che denunciano ai giornali la cattiva gestione dell'emergenza al Pat? Non li giudico. Ma credo che puntare il dito adesso sia davvero triste. Ora dovremmo pensare a come uscirne». Lei ha 48 anni, lavora come oss al Trivulzio da ben trenta, non ci sta a far passare l'istituto, «che considero casa mia, una seconda famiglia», come un luogo in cui non si è fatto granché per evitare che gli anziani morissero di Coronavirus.
Il suo è un lungo sfogo, che ha scritto anche in una mail inviata ai vertici, al sindaco, a diversi assessori. «Ne ho mandata una pure a Gad Lerner, non mi ha risposto. La mia lettera è firmata, tutti al Trivulzio sanno chi sono e che dico sempre ciò che penso». Ha ricevuto e mostra altri messaggi dello stesso tenore da altri operatori e da alcuni parenti di pazienti. Le minacce a chi pretendeva di usare la mascherina? «Non posso dire cosa è vero e cosa no dei racconti di alcuni miei colleghi, parlo per me e per la mia esperienza. Ho problemi immunitari e sono stata lasciata a casa dal 9 marzo. Io non volevo, ma la caposala non ha sentito ragioni, per la tutela della mia salute. Lo stesso è successo agli altri come me. Prima ha insistito perché portassi una Ffp3. Se qualcuno avesse provato a impedirmi di proteggermi, gli avrei detto: Mi sospenda pure.... In quel periodo le mascherine non c'erano e le disposizioni ufficiali del 23 febbraio dicevano di darle al personale a contatto con pazienti con problemi polmonari. Così è stato fatto, nei reparti di pneumologia hanno tutto, cuffia, calzari, occhiali. Non posso smentire i colleghi, dico quello che so e che ho visto. Su ciò che è successo dopo che sono andata via non ho certezze, faccio solo presente che ad esempio i tamponi il Pat non li poteva fare». Le presunte cartelle manomesse? «Sarebbe grave. Però far sparire una radiografia è impossibile, in radiologia è tutto registrato».
Il resto è un misto di rabbia e orgoglio, l'operatrice a tratti si commuove: «Ho amiche infermiere in grandi ospedali, positive, che non si sono mai lamentate... Capisco che i miei colleghi si preoccupino della propria salute, ma nei loro racconti li ha mai sentiti citare i pazienti?...Io no, parlano solo di sé. Mi arrabbio molto per queste cose, non punto il dito a mia volta dal divano. Tuttavia in quel momento le disposizioni dicevano di fare quello che è stato fatto e c'era molta confusione generale. Denunciando sulla stampa hanno aggiunto tragedia a tragedia. Non è questo il modo, se c'è una ingiustizia, vai a protestare con il dg. E come tanti altri sto male per ciò che è uscito sui giornali. Hanno pubblicato le foto delle bare allineate, ben sapendo che erano lì perché le cremazioni sono bloccate e i funerali sono difficoltosi, non solo per noi. E non considerando che così i parenti, già in ansia, sarebbero andati nel panico. Vorrebbero portare via i loro familiari, li capisco. È una mancanza di rispetto, si è aumentata la sofferenza. Io non seguo la politica, ma qualcuno fa politica davanti alla morte». La 48enne difende il proprio istituto e il dg Giuseppe Calicchio, finito nel mirino. «Dopo Tangentopoli ci siamo tirati su le maniche per risollevarci, io c'ero, è stata dura. In questa emergenza, che è mondiale, sono probabilmente stati fatti errori, gli stessi medici hanno sottovalutato la situazione all'inizio. Ma ora è troppo facile accusare... In trent'anni non ho mai avuto un dg che passa la mattina nei reparti a dare il buongiorno, che ascolta ogni lavoratore. Il personale ha bisogno anche di questo. Non ho confidenza con il dottor Calicchio, però mi ha dato forza in più occasioni. Mi mancano i pazienti, spero di tornare presto.
I dottori mi dicono sempre: Noi ci mettiamo la testa, tu mettici il cuore. È la mia regola». Da ieri, vista l'inchiesta in corso, il Pat è in silenzio stampa. Continueranno a essere pubblicati sul sito i bollettini quotidiani.
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