Pochi giorni fa il pm Maura Ripamonti ha chiesto il rinvio a giudizio per un medico e due ostetriche della clinica Mangiagalli accusate di omicidio colposo per il caso di Claudia Bordoni, la donna di 36 anni morta il 28 aprile dell'anno scorso insieme alle due gemelle che portava in grembo. Il pubblico ministero, che aveva disposto due consulenze tecniche, aveva in un primo momento chiesto l'archiviazione del caso escludendo il nesso causale tra l'omissione «gravemente colposa» degli imputati e la morte della paziente con le due gemelline.
I familiari della donna, assistiti dagli avvocati Antonio Bana, Francisca Buccellati e Antonio Sala Della Cuna, hanno però presentato opposizione e il gip Stefania Donadeo ha dato loro ragione. In linea con la tesi dei legali della vittima ha archiviato solo la posizione di una psichiatra mentre per gli altri tre sanitari ha ordinato l'imputazione coatta alla quale ha fatto seguito l'istanza di rinvio a giudizio. Ora si aspetta la fissazione dell'udienza preliminare. La 36enne, manager originaria della Valtellina, dopo un primo ricovero al San Raffaele il 26 aprile era arrivata al Pronto soccorso della Mangiagalli per complicazioni nel corso della gravidanza.
La morte il 28 per un'emorragia interna con il conseguente aborto dei due feti. Secondo il giudice, «è evidente come non si possa ragionevolmente escludere che, se» gli imputati «avessero posto in essere le condotte doverose omesse, in termini di accertamenti diagnostici e terapeutici suggeriti dalle linee guida (...
) la morte della signora Bordoni, e anche quella delle gemelle non si sarebbe verificata». Le conclusioni: la paziente, almeno lei, si sarebbe potuta salvare «con probabilità considerevoli, e quindi molto più che solo buone, come invece affermerebbe il pm».
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