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La madre ordinò il delitto al figlio «Tu sei stato ferito nell’onore»

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Non avrebbe mai potuto salvarsi Saverio Luca Verrascina. Il muratore 38enne freddato con sei colpi di calibro 22 davanti al portone di casa il 10 gennaio scorso a Zivido, frazione di San Giuliano Milanese, aveva osato troppo. Due giorni prima di essere ucciso, infatti, aveva sequestrato e massacrato di botte, insieme con un amico, Giuseppe «Pippo» Pellettieri, un operaio pregiudicato 25enne che gli doveva da due anni 4mila euro per una partita di hashish. E in quel modo Verrascina aveva inferto una terribile onta alla famiglia di Pippo, originaria di Torre Annunziata (Napoli) e affiliata niente meno che ai Gionta, noto clan camorristico partenopeo. Un nucleo di balordi di un certo peso. Che non poteva subire in silenzio. E che condannò a morte Verrascina.
Così i carabinieri della compagnia di San Donato - che già avevano arrestato il reo confesso Pellettieri la sera stessa dell’omicidio - martedì hanno catturato suo cognato, Carlo Caiazzo, 36 anni e sua madre, la 59enne Cristina del Prete. Con loro sono finiti in manette altri due pregiudicati: il 39enne Armando Esperto e Maurizio Lamanuzzi, 34 anni. Tutti e quattro sono accusati di omicidio volontario in concorso con dolo eventuale per aver deciso, progettato e comandato l’omicidio del muratore di San Giuliano. E, almeno i tre uomini, la sera dell’omicidio, si trovavano a Zivido davanti alla casa di Verrascina, in via dei Mille 30. Forse proprio per «controllare» che Pippo facesse il suo dovere e vendicasse il torto subito da lui e dalla sua famiglia.
Da quanto emerso nell’inchiesta portata avanti dai militari dalla sera dell’omicidio, infatti, Pellettieri - un operaio di 25 anni, nato a San Giuliano ma residente con la moglie e i due figli a Caselle Lurani (Lodi) - viene considerato dalla famiglia d’origine uno sprovveduto. Che, però, non può esimersi dai suoi doveri di appartenente a un clan camorristico. Così, quando Verrascina e l’amico Jean Jannaccio (anche lui arrestato martedì per sequestro di persona e lesioni personali gravissime, ndr) l’8 gennaio lo rapiscono a casa sua, davanti ai figli e alla moglie, e lo massacrano di botte in aperta campagna per quel debito di droga, a sua madre Cristina Del Prete va il sangue agli occhi. Verrascina, infatti, ci è andato giù duro e Pellettieri, con la faccia tumefatta, è costretto a farsi operare d’urgenza per stabilizzare il bulbo oculare.
«Figlio mio tu sei stato minato nell’onore, perché si rispetta il cane per rispettare il padrone» dice così al figlio Pippo la Del Prete per spingerlo alla vendetta. E lui, che alla mamma non osa dire no, la sera del 10 febbraio, insieme a Esperto e Lamanuzzi, arriva a Zivido, in via dei Mille, dove uccide Saverio Luca Verrascina che sta rientrando a casa. Una volta fermato dai carabinieri dichiara di essere l’assassino e di aver fatto tutto da solo, sbarazzandosi anche della pistola che, dice, ha gettato nel lago blu, un bacino artificiale di pesca sportiva dragato senza risultato dai sommozzatori dell’Arma. I carabinieri non credono però del tutto alla sua ricostruzione. E, nel giro di un mese e mezzo, scoprono tutte le persone coinvolte nell’omicidio di Verrascina.


In un box in zona Comasina e riconducibile a Esperto, i militari hanno trovato 2 pistole semiautomatiche con matricola abrasa, un fucile mitragliatore tipo Kalashnikov, un’auto rubata, passamontagna, guanti, un casco, taglierini, un bilancino e l’occorrente per il confezionamento di droga.

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