Le famiglie intorno al potente clan Laudani, siamo a Catania, erano mantenute con il denaro raccolto grazie agli affari fatti a Milano. Il decreto della sezione Misure di prevenzione del Tribunale, presieduta da Fabio Roia, dispone l'amministrazione giudiziaria per sei mesi di una buona fetta della Lidl, colosso tedesco dei discount. E descrive il meccanismo che drenava fiumi di contanti verso la Sicilia, dopo averli raccolti al Nord con appalti pilotati e fatture false. Non solo mirando a Lidl, ma anche a commesse per la security del Tribunale e del Comune di Milano.
Il «mutuo soccorso» finiva in particolare nelle tasche dei familiari dei mafiosi detenuti. «Quante famiglie mangiano...», dice un arrestato in un'intercettazione. Luigi Alecci e Alessandro Fazio, anche loro finiti in manette, ne discutono in un incontro del novembre 2015. Fanno «chiaro riferimento - scrivono i giudici - al fatto che si debba provvedere ad inviare del denaro in Sicilia». Alecci «racconta di aver intimato a Fazio Alessandro il rispetto delle promesse, precedentemente fatte a persone di cui non proferisce le generalità (i nostri), relativamente a somme di denaro che lo stesso Fazio Alessandro deve consegnare giù, pena la minaccia che qualcuno, sempre da giù, possa salire: Perché dopo salgono e ti danno i cazzotti...». L'estate successiva Alecci prende a sua volta accordi con il cassiere dei boss Enrico Borzì al chiosco Mediterraneo di Acireale, imbottito di cimici. I versamenti alla «famiglia nostra» sono «un atto dovuto». Spiega Borzì all'imprenditore arrestato Giacomo Politi, riferendosi a un pagamento alla moglie di un affiliato: «Perché per loro tu questi soldi che gli hai mandato sono regolari, nel senso diciamo che gli spettavano a suo marito». Dalle frasi di Borzì, continua il decreto, «emerge la presenza di una sorta di registro contabile, dove vengono annotate tutte le consegne di denaro destinate alla famiglia Laudani». E, aggiunge il gip Giulio Fanales, i familiari che incassavano aiuti dovevano sottoscrivere «una ricevuta». Borzì dice a un interlocutore: «Ma io ho tutte cose scritte... carta e penna, che fa scherzi? 1.000 tu, 100 quello, 1.000 quello, fatti a penna...». Ancora, a una beneficiaria: «Lucia (Lucia Di Mauro, ndr)... forse non ci stiamo capendo. Vieni qua! Mettici la firma!».
La Sezione inquadra anche il profilo mafioso dei Laudani, definiti da Ilda Boccassini «braccio armato di Nitto Santapaola». Il capostipite è Sebastiano, classe 1926. Uno che, spiega il nipote Giuseppe, «è della linea che se mette piede fuori dobbiamo uccidere tutti; ammazzare tutte le persone che piano piano sono nemici della mia famiglia, è il chiodo fisso di mio nonno; mio nonno non conosce neanche il bene che ci può essere tra un figlio e un è padre». Suo discendente e omonimo è il Sebastiano nato nel 1969 e soprannominato «Iano il grande». Si è trasferito in Venezuela, Paese d'origine della moglie. Un parente lo descrive così: «Fra tutti noi nipoti il peggiore è mio cugino Sebastiano il grande, il più cattivo è lui». Infine, il Sebastiano 34enne, alias «Iano il piccolo».
Dentro la Lidl il clan aveva una pedina sicura, il dirigente «corrotto» Simone Suriano, projet leader di Lidl Italia srl. Spiega intercettato Emanuele Micelotta: «Vorrà il 3 per cento su tutto (sui lavori ottenuti dalle società controllate dagli arrestati, ndr). Gli ho detto non da settembre ma da ottobre... Lui vuole ogni fine mese... Centomila... tremila... quindi il 3 per cento». In più, precisano i magistrati, «i 2mila euro da destinare agli operai impiegati nelle filiali siciliane, quali compensi a nero». Nei supermercati i boss controllavano anche il servizio di sicurezza: «Tutta io ce l'ho ora!», assicura Fazio a un socio. Micelotta e Politi discutono degli alleati da reclutare dentro la succursale italiana della multinazionale e dei compensi da corrispondere: «Io darei tutti uguali senza differenza...», «Tanto questi sono apposto no?», «In che senso?», «Non se la vanno a cantare...», «Ma va'...». Infine Ivan Zaccone, geometra ex Lidl e poi assunto da una delle società finite nell'inchiesta (arrestato) si preoccupa di trovare nuovi ganci: «Non abbiamo un contatto dentro, come facevo io, che anticipava e ci comunicava il range (i parametri delle gare, ndr)».
E di quanto promettere a un potenziale «collaboratore»: «Stabiliamolo, stabiliamo già io e te in ufficio lunedì, in maniera che andiamo lì che già... prepariamoci magari a una... come avevamo fatto noi, a una trattativa, quindi partire un po' bassi, in maniera che se lui spara un po' più alto, noi arriviamo alla cifra che vogliamo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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