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Milano a luci spente contro chi oscura il sogno di una città

Milano a luci spente contro chi oscura il sogno di una città

di Luca Doninelli

Il Duomo illuminato e i negozi oscurati. Ieri al calare della sera la città non è stata rallegrata dalle luci dei negozi. Un singolare sciopero dei gestori ha abbassato il voltaggio, fatto in parte di illusioni, di questa città. Pretesto dell’iniziativa: i danni prodotti dall'istituzione dell’Area C al commercio.
Io non so se la colpa sia soltanto dell’Area C. La crisi c’è, è pesante e le sue conseguenze si fanno sentire in tutte le aree. Nella mia zona (è solo un esempio fra molti) alcuni bar hanno dovuto chiudere in seguito alla chiusura di una linea di prodotti d’abbigliamento che aveva sede lì vicino e di un paio di studi professionali: all’improvviso sono mancati i clienti, quelle cento, centocinquanta persone che danno di che vivere a un pezzo di città.
La crisi non è soltanto economica, ma anche umana, almeno un po’. Una zona dove i bar chiudono è umanamente più povera, la gente cammina più in fretta, la società stanziale (ogni zona ha la sua, o dovrebbe averla) si dissipa più rapidamente, le vie diventano vie di passaggio.
Un pregiudizio da sfatare è che chi va a passeggio per il centro cittadino abbia come scopo lo shopping. Se così fosse l’Area C, con i suoi deterrenti, dovrebbe favorire il passeggio e, quindi, il consumo.
Invece non è così. Specialmente in tempi di crisi, infatti, si va a passeggio anziché fare shopping. Le strade sono piene di persone, ma i negozi sono vuoti, col titolare sulla porta, a fumare: tranne alcuni, s’intende, come McDonald’s o come Luini il panzerottaio di Santa Redegonda (ma questo è fisiologico: se al ristorante ci va meno gente, va da sé che si venderanno più panzerotti).
Ma chi va a passeggio di solito non fa shopping, che significa sacchetti e sacchettini, taluni anche pesanti. A fare shopping ci si va preferibilmente in macchina, per ovvie ragioni, perciò non mi stupisco che, specie in tempi come questi, un’iniziativa per altri aspetti giusta come l’Area C (almeno per me lo è, visto che con la mia Opel mod. 1999 ho sempre dovuto pagare l'ecopass, a differenza dei suv milionari) lasci sul campo i suoi cadaveri.
Ma questo oscuramento dei negozi dice anche qualcosa in più. Nella protesta dei commercianti, alla recriminazione si mescola un tono più alto, quasi profetico. E il contrasto con l’illuminazione del Duomo genera un racconto nuovo, inaspettato: un racconto che non parla né delle difficoltà dei commercianti né della maestà della Chiesa.
È il racconto di una società che si è fatta improvvisamente più fragile. L’uomo della crisi è un po’ più solo, e non soltanto ha meno soldi da spendere, ma ne ha anche meno voglia. Magari qualcosa in tasca c’è (anche se la percentuale di italiani in fila alle mense per i poveri aumenta), però viene da chiedersi, è quasi automatico, se non sia meglio tenerseli, quei quattro soldi, visto che domani non si sa come andrà.
Il Duomo con la sua luce invita chi è solo a entrare. Se intorno tutto è buio, se fino a qualche tempo fa la luce di un bel negozio invogliava più di una chiesa, oggi è diverso, perché sono diversi i nostri pensieri. La nostra mente non riesce più a starsene chiusa in un presente che sembra eterno, catapultandosi nel godimento delle cose senza altri pensieri.


A modo loro, manifestando il disagio di questi tempi difficili contro un governo cittadino che sembra guardare con diffidenza al loro lavoro, i commercianti ci aiutano a capire meglio il tempo in cui viviamo. E, personalmente, aggiungo: sosteniamoli, perché sono loro, più di chiunque altro, il motore di Milano. Il deserto è infatti, oggi più che mai, una possibilità del prossimo futuro.

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