Cronaca locale

Una Milano notturna e magica nelle visioni dell'altro Gabbana

Il notturno era il genere musicale preferito dai Romantici: nella profondità ancestrale del buio gli artisti del primo Ottocento scorgevano una metafora della fluidità e abissalità dei sentimenti. I Notturni di Maurizio Gabbana - esposti fino al 31 gennaio presso la galleria Studiò di Giovanna Simonetti, in via Poerio 2 - hanno invece un sapore neoclassico: negli scatti di questo fotografo cinquantenne, fratello del celebre stilista, Milano ha infatti un carattere rigidamente malinconico, un aspetto così insolitamente puro, strutturato e compatto da risultare straniante ed enigmatico. Non a caso alcune immagini sembrano quasi ispirarsi ai racconti natalizi di Buzzati, soprattutto quelle che - come scrive Rolando Bellini nel catalogo della mostra - «manifestano una Milano sconosciuta in cui per esempio la neve si fa seta e crema, presenza viva che trasfigura ogni realtà in un sognante e magico irreale». L'immobilità, il vuoto e soprattutto il silenzio caratterizzano i frammenti urbani selezionati da Gabbana: uno scorcio laterale del chiostro e dell'abside di Santa Maria delle Grazie, le visioni frontali del Duomo e di Sant'Ambrogio, una vertiginosa ripresa dell'interno della Galleria Vittorio Emanuele, l'Arco della Pace colto in tutta la sua sontuosa monumentalità (ma anche nella sua attuale imperfezione, frutto dei soliti lavori di riadattamento e manutenzione incompleti o inadeguati). Una Milano ufficiale, ordinata e apparentemente ordinaria, ma che in realtà svela qualcosa di inaspettato, e a volte di conturbante, grazie ai bagliori anomali che "bucano" gli eleganti bianchi e neri, alle traiettorie luminose che si insinuano tra le architetture, al clima di sospensione che sembra essere connaturato a una città ritratta nel suo profilo invernale. Una Milano metafisica, anche nell'accezione storico-artistica di questo aggettivo con il quale si designa una tendenza di inizio Novecento che accomuna pittori come De Chirico, Savinio, Carrà e Morandi. «Nelle mie foto precedenti intitolate Segnali - racconta Gabbana - il punto di riferimento era il Futurismo: in quelle immagini realizzate con lunghe esposizioni cercavo di catturare la frenesia, l'energia vibrante che contraddistingue Milano e altre metropoli. Nei Notturni esposti allo Studiò a essere protagonista è invece la solitudine, il vuoto che tanto piaceva ai pittori metafisici. Non credo che questo passaggio tra Futurismo e Metafisica, tra frenesia e solitudine, denoti una contraddizione: ritengo piuttosto che si tratta di un'oscillazione tra due pol ».

Parole di un fotografo puro, nemmeno lontanamente tentato dalle manipolazioni del digitale e del fotoshop.

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