Minacce leghiste alla segretaria pentita

Minacce leghiste alla segretaria pentita

Caccia alla «gola profonda», caccia all’«infame»: dentro la Lega Nord, martoriata dalle inchieste giudiziarie e devastata dal voto di domenica scorsa, è partita l’offensiva contro i colpevoli della debacle. I più avveduti se la prendono con Francesco Belsito - il vulcanico tesoriere che ha portato il Carroccio a investire in Tanzania e a pagare con i soldi pubblici le spese private dei rampolli di Bossi - e con chi ha voluto o consentito la sua ascesa. Ma tra i militanti padani c’è anche chi vede le cose dall’altra parte: e se la prende con i «traditori» che, all’interno della Lega, avrebbero scelto di collaborare con gli inquirenti invece di scegliere la strada dell’omertà.
Tra i principali accusati c’è Nadia Dagrada, storica segretaria di Umberto Bossi. Nelle scorse settimane la Dagrada è stata indicata dai giornali come principale teste d’accusa nei confronti del «grande capo». Pare che non sia del tutto vero, nel senso che la Dagrada pare non abbia potuto fare altro che confermare quel che i pubblici ministeri sapevano già: e cioè che in fondo ai rendiconti fasulli c’era la firma di Umberto Bossi. Ma nell’immaginario del leghista medio, lei è quella che ha fatto «la spia».
E così sono partite le minacce. La diretta interessata - che ai pubblici ministeri, peraltro, ha dato l’impressione di una donna sveglia e rocciosa, tutt’altro che facile a farsi intimidire - ieri interpellata dal Giornale nega di avere ricevuto alcunchè: «Nessuno mi ha minacciata, cado dalle nuvole, me lo state dicendo voi». Ma in altri ambienti leghisti la notizia viene confermata e arricchita di dettagli. Alla Dagrada, dunque, sarebbero arrivate telefonate di minacce e di insulti a causa del suo supposto ruolo di delatrice. Minacce serie, tanto da spingere la Dagrada a prendere alcune misure di sicurezza per sè e per la sua famiglia. Pare che non sia stato difficile risalire agli autori: che sono stati richiamati bruscamente all’ordine e diffidati dal proseguire in imprese di questo genere. La Lega, è stato spiegato in sostanza agli autori delle chiamate, ha scelto di collaborare con l’inchiesta perché si considera vittima di quel che è accaduto. L’omertà non fa parte della nostra cultura e iniziative di questo genere rischiano di essere devastanti.
Dopo la severa tirata d’orecchie pare che effettivamente gli autori delle minacce si siano chetati. Ma l’episodio la dice lunga sul malessere e sul disorientamento che l’inchiesta della Procura milanese sta creando nella base leghista. La scelta di Bobo Maroni di rompere con il passato - anche se questo dovesse significare liquidare Umberto Bossi - è stata probabilmente inevitabile. Ma una certa cultura del complotto ha indubbiamente preso piede anche tra i militanti di Alberto da Giussano. Da qui il livore non solo contro i dirigenti - come Belsito e Rosi Mauro - assurti a simbolo del degrado morale del partito, ma anche con chi è sospettato di avere collaborato con i giudici.
Che la Dagrada abbia davvero collaborato è in realtà tutto da dimostrare. Assai utili alle indagini sono risultate alcune sue telefonate, intercettate nel corso delle indagini.

Ma una volta convocata in Procura, la donna ha dato ai magistrati l’impressione di non voler accusare Bossi, ammettendo soltanto lo stretto indispensabile, e tenendo per sè buona parte dei segreti di cui non può che essere venuta a conoscenza, nei lunghi anni vissuti al fianco del lider maximo.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica