Perché Tex è ancora tra noi, giovane e bello come tutti gli eroi, mentre sono morti Blek Macigno e Capitan Miki, Pecos Bill e il Piccolo Ranger? Quale segreto ha fatto sì che solo il capo bianco dei Navajos - di tutta la galleria di volti che affollava l'adolescenza di una nazione e avvolgeva d'avventura l'Italia del boom economico - cavalchi ancora nel suo West immaginario, schivando le pallottole per approdare in edicola? Sono passasti settant'anni da quella prima battuta, «Per tutti i diavoli, che mi siano ancora alle costole?»: e Willer è ancora lì, bandana al collo e giubbotto sfrangiato, a mandare i cattivi «a spalar carbone con Satanasso». Come è possibile?
La risposta è sicuramente lì, appostata nei saloni della Permanente di via Turati, nella sfolgorante celebrazione del mito con la Colt: tra decine di tavole originali e prime edizioni ormai introvabili, interviste, intere sequenze che raccontano l'evoluzione grafica e narrativa della saga iniziata nel grande salotto di via Saffi dove Gianluigi Bonelli e Aurelio Galeppini tennero a battesimo il ranger. Era il 1948, e i piccoli album formato strip portavano il marchio delle Edizioni Audace.
Sono passate generazioni di lettori, quattro sceneggiatori, innumerevoli disegnatori e qualche milione di pallottole scambiate da un lato all'altro della vignetta. Di mezzo, anche se mai esplicitamente ritratti - come se svanissero magicamente dalla scena - quantità industriali di cadaveri, prevalentemente di cattivi. Tex ammazza solo per legittima difesa, spiegano gli studiosi della materia. Di sicuro lo fa senza pensieri e patemi particolari. Il suo approccio base all'eliminazione del prossimo è il già citato invito a «spalar carbone con Satanasso». D'altronde a causare la prematura dipartita dei cattivi sono in genere i cattivi stessi, che - altro lemma leggendario, pienamente caratterizzato dall'era della leva obbligatoria - «sparano come coscritti»: ovvero hanno una pessima mira, e questo ne segna la triste sorte di fronte all'infallibile ranger.
Presenza scenica ingombrante, tanto da non aver bisogno di una spalla: l'unico a svolgere blandamente questo ruolo è Kit Carson, infaticabile brontolone, che però se si analizzano le dinamiche di coppia è sempre, clamorosamente subalterno, mai una volta che Tex approvi una sua idea. Per non parlare degli altri membri della banda, Tiger Jack, l'indiano dal carattere indefinito, e soprattutto Kit Willer, figlio perennemente imberbe di Tex, ragazzotto incolore palesemente stritolato dalla figura paterna. D'altronde provateci voi ad avere per papà Tex Willer.
Nel percorso affascinante della mostra di via Turati, alla domanda «perché Tex dura ancora?» ognuno potrà trovare le risposte che vuole. Perché Tex è uno, costante, ma anche multiforme e sfaccettato, e nei suoi 694 (a tutt'oggi) albi viaggiano tanti livelli diversi: il Tex anarchico e il Tex uomo d'ordine, il Tex pragmatico e quello che - sottilmente ma inequivocabilmente - si lascia trascinare sui terreni dell'ignoto e dell'irrazionale nel lungo scontro con il più indimenticabile dei suoi nemici, Mephisto. Ci sono molti Tex, e ogni lettore si riconosce in uno di essi.
Tex non avrà mai una vecchiaia, ma ora, per i suoi settant'anni, riceve una giovinezza: si chiamerà «Tex Willer», una serie mensile che racconterà gli anni della formazione, quando il futuro ranger era un ragazzotto fuorilegge. Un lungo prequel di cui nel corso degli anni, qua e là per gli albi, sono stati già forniti ai lettori sprazzi vari: la fase rivoluzionaria e quella del vagabondaggio, la conoscenza con Kit Carson (brontolava anche quando non aveva i baffi bianchi) e l'unica, sventurata love story.
E forse in questo sguardo all'indietro scopriremo anche il giorno e la circostanza in cui per la prima volta Tex scoprì una grande verità: per quanto lunga sia stata la cavalcata, ogni saloon che si rispetti ha pronto l'antidoto. «Una bistecca alta così e una montagna di patatine fritte!»
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