La moglie di Brega Massone: "Ora si sa, non è un mostro"

La consorte del chirurgo della clinica degli orrori in carcere per omicidio: «Lui trattato peggio di Riina»

La moglie di Brega Massone: "Ora si sa, non è un mostro"

«Da oggi, comunque vada a finire questa storia, è chiaro per tutti che mio marito non è il mostro che si è voluto dipingere. La Cassazione ha stabilito che non ha mai voluto uccidere nessuno. Questo è importante per lui, per me, e per mia figlia che porta il suo nome».

Barbara Brega Massone ieri mattina è andata in carcere ad Opera a trovare suo marito Pierpaolo, il chirurgo della clinica Santa Rita: divenuta per l'opinione pubblica «la clinica degli orrori», al punto di dover cambiare nome; mentre lui, Brega Massone, diventava il primo medico nella storia d'Italia e forse del mondo condannato all'ergastolo per omicidio volontario. A causare il decesso di quattro pazienti, operati ai polmoni e morti poco dopo, per i giudici di Milano non erano stati errori o avventatezze, ma il cinico piano criminale di un medico che puntava a aumentare il suo reddito mettendo in conto la morte dei paziente. Ergastolo, dunque: «Non venne giudicato ma giustiziato», ha detto nella sua arringa Titta Madia, uno dei difensori di Brega.

Vi aspettavate l'annullamento della condanna, signora?

«Da un lato sì, per come conosciamo questa vicenda: la condanna all'ergastolo era troppo ingiusta e troppo scorretta. Ma avevamo anche molta paura, perché finora avevamo avuto cinque sentenze e tutte negative. Se anche stavolta fosse andato male basta, era la fine, la morte civile».

Come ha vissuto questa attesa Pierpaolo Brega?

«Molto male. Era arrivato abbastanza alla frutta, insofferente, intollerante, reagiva male, si sentiva preso di mira, oggetto di provocazioni. Quando venne condannato all'ergastolo si presentò al carcere di Bollate, invece dopo cinque giorni la Procura lo fece trasferire a Opera dicendo che Bollate è un carcere premiale e che lui non aveva fatto niente per meritarselo. Lo hanno trattato peggio di Totò Riina».

Tra qualche mese ci sarà un nuovo processo, cosa si aspetta?

«Gli scenari sono tanti: errore medico, omicidio colposo, omicidio preterintenzionale. Di certo non potranno più ridargli l'ergastolo, e questo significa che essendo in carcere da nove anni, avendo diritto all'indulto e agli sconti di pena, tra un po' Pierpaolo comincerà a vedere la fine del tunnel. Ma per lui e per noi è ancora più importate il riconoscimento che mio marito non è un assassino.

Per arrivare a condannarlo i giudici milanesi avevano dovuto fingere di non vedere interi pezzi del processo, a partire dai nostri consulenti, che hanno testimoniato come le operazioni fatte da mio marito fossero quelle che in scienza e coscienza avrebbero fatto anche loro. E se i consulenti dell'accusa erano prestigiosi, i nostri erano prestigiosissimi: oltre a essere disinteressati perché non hanno preso un soldo».

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