Un monumentale Pagni fa rinascere Eduardo

All'Elfo Puccini standing ovation per il «Sindaco del rione Sanità»

Mimmo di Marzio«La morte è povera cosa ma chiude una ferita mortale», è la frase shakespeariana con cui il regista Marco Sciaccaluga apre e chiosa la sua rappresentazione de «Il sindaco del rione Sanità» di Eduardo De Filippo, in scena fino a domenica all'Elfo Puccini. Miracolo degli autori universali che - come Shakespeare o De Filippo - riescono sempre ad essere contemporanei nei loro messaggi esistenziali oltre che artistici. E miracolo del teatro italiano, che riesce a far (ri)scoprire al grande pubblico attori straordinari come il 76enne Eros Pagni che, qui nel ruolo del capobastone Antonio Barracano, rinverdisce sul palco il repertorio eduardiano con una presenza scenica degna del grande drammaturgo napoletano. Lo spezzino Pagni è colonna portante di questa produzione dei teatri Stabili di Genova e Napoli, già acclamata al Napoli Teatro Festival e che continua a riscuotere ineccepibili elogi. Il merito va certamente a una regìa che, pur rispettando il canovaccio originale della celebre tragicommedia, la rinnova epurando l'anima dei numerosi personaggi da ogni orpello folcloristico e disegnando un impianto scenico potente nella sua austerità. Una scommessa vinta trionfalmente proprio per i numerosi rischi insiti nel riproporre un classico della tradizione, per di più con una compagnia diretta e composta anche da non napoletani, a cominciare dal monumentale protagonista. Pagni appunto. Ma proprio a lui, si può dire, va il maggior merito di questa imperdibile rappresentazione, per la maestria attoriale con cui ha saputo rendere universale - e appunto shakespeariano - il personaggio del vecchio boss che difende il popolo dalle ingiustizie della legge dei forti; ma anche per come ha saputo incarnare, lui che è ligure, la napoletanità del teatro di Eduardo, perennemente in bilico tra farsa e tragedia. Le plausibili imperfezioni dell'accento scompaiono di fronte alla grandezza con cui Pagni-Barracano interpreta il personaggio antico e disilluso del «giudice di pace» alle prese con le debolezze e l'ipocrisia della società. Un personaggio che, con il passare dei minuti, assume la visionarietà di un moderno don Chisciotte.

La gestualità, le pause e la metrica di Pagni saturano il palcoscenico di un pathos che lascia gli spettatori incollati alle poltrone; e dove ogni parola rende stentorii significato e significante del testo eduardiano. Come la frase ripetuta al giovane e ingenuo Rafiluccio che chiede conforto nell'insano proposito di uccidere il padre: «Un uomo è uomo quando capisce che deve fare marcia indietro; e la fa».

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