Il «morso» dell'Uruguay gela piazza Castello Poi si scatena il diluvio

Il «morso» dell'Uruguay gela piazza Castello Poi si scatena il diluvio

Ore 19,55: acqua a catinelle e fulmini su Milano. Ore 19,55: l'Italia saluta il mondiale brasiliano battuta dall'Uruguay e gli psicodrammi tra i tifosi non si contano. Ore 19,55: alla Fabbrica del Vapore, dove era riunita la comunità uruguagia, al fischio finale dell'arbitro messicano Rodriguez, il grido è uno solo e imponente: «Arriba Uruguay».
Tanta l'acqua che Giove pluvio ha scatenato su Milano e sulle migliaia di tifosi che si sono accalcati davanti ai maxi schermi di piazza Castello, piazza Duomo e ai tanti apparecchi televisivi per strada davanti ai bar, dove la gente si fermava e tifava a più non posso. Forse un intervento necessario perché il bagnato che arrivava dall'alto serviva a coprire i fiumi di lacrime che inondavano i volti di tifoso quasi stralunati e increduli davanti a una simile, non prevista, disfatta.
C'era chi piangeva, chi prendeva a calci le lattine per terra, chi imprecava contro l'arbitro «Dracula», chi insultava il vicino e rivolgeva le stesse espressioni ai vari Pirlo, Chiellini e compagnia bella. Perché la colpa della sconfitta era di quel «maledetto branco» di azzurri che non era riuscito a battere un paese di quattro milioni d'abitanti, appena più grande della Lombardia. E al povero (si fa per dire) Balotelli le orecchie devono essere fischiate fino allo stordimento, tante le espressioni negative arrivategli dopo l'ammonizione, i mancati tiri e la svogliatezza. Gli applausi per Supermario? Tanti, quando all'inizio della ripresa Parolo l'ha sostituito. «Era ora che uscisse, è una palla al piede», il commento benevolo di Marco, con la faccia dipinta di tricolore.
Sembrava quasi scritto, perché alle lacrime dei fan e alle facce tristi dei nostri eroi(!!) azzurri, ha provveduto un temporalone estivo a mandare tutti a casa, ad ammainare subito le bandiere (poche per la verità in piazza Castello a fronte di un migliaio di persone) e a rinunciare ad ulteriori insulti nei confronti della banda Prandelli. Ben diversa l'atmosfera alla Fabbrica del Vapore in via Procaccini dove davanti a un supermegamaxischermo, con le due tribune piene, il popolo uruguagio di Milano ha vissuto una serata indimenticabile.
Prima il concerto con sola chitarra classica del cantautore Angel Luis Galzerano, accompagnato dalle poesie di Mario Benedetti, recitate dallo scrittore Milton Fernandez (è uscito il suo libro Sua maestà il calcio), momenti di cultura e intensa commozione. Poi la stessa commozione e occhi bagnati per la felicità questa volta. Sandra Carpena che aveva riunito gli uruguagi della Lombardia, non stava più nella pelle: «Incredibile, non ci credavamo proprio, ma questo è l'Uruguay, grinta, carattere, voglia di soffrire a costo di lasciare tutto sul campo». Poi anche i sudamericani, dopo aver bevuto un caldissimo mate fornito da Ruben Ariel Panizza Acuna (che saltava sulle tribune della Fabbrica), hanno dovuto cedere al diluvio facendoli tornare a casa bagnati, inzuppati, ma strafelici.

A differenza degli italiani che a casa sono rientrati con la rabbia in corpo. I colpevoli? L'arbitro Rodriguez, Suarez. Balotelli e un tal Prandelli che alla squadra non è riuscito a trasmettere la mentalità vincente. «Allora è giusto che tornino in Italia», dice sconsolato di Roberto.

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