Morto dopo l'arresto: assolti i quattro agenti

Confermata la sentenza di primo grado che scagiona i poliziotti accusati del decesso di Michele Ferrulli nel 2010

Luca Fazzo

«Pure invenzioni, fantasie, chiacchiere da bar»: queste, aveva detto ieri l'avvocato Massimo Pellicciotta nella sua arringa finale, erano le accuse mosse contro quattro poliziotti della Volante, colpevoli secondo la Procura di avere causato la morte di Michele Ferrulli in via Varsavia, una sera di luglio di cinque anni fa. E la Corte d'assise d'appello dimostra di pensarla come lui: tutti assolti, «il fatto non sussiste», Ferrulli non venne ucciso ma morì per cause naturali. La sentenza di primo grado viene confermata, nonostante il ricorso della Procura generale e dei familiari della vittima: e questi ultimi insorgono dopo la lettura del verdetto, «vergogna, non ci fermeremo, andremo in Cassazione».

Per loro, e per lo schieramento nutrito che tra gli inquilini delle case Aler di via Calvairate aveva in Ferrulli uno dei leader, non ci sono dubbi: a causare la morte dell'uomo erano stati i poliziotti, che lo avevano aggredito, colpito e steso al suolo senza nessun motivo, dopo essere intervenuti in via Varsavia per una banale telefonata sul chiasso di un bar. Schiacciandolo al suolo, ne avevano causato la morte per arresto cardiaco. In questo modo anche la morte di Ferrulli era entrata nel novero degli episodi di violenze vere o presunte che in Italia vedono le forze dell'ordine sotto accusa.

Già la Corte d'assise nel luglio di due anni fa aveva liquidato come inconsistenti (e con una certa asprezza di toni) le accuse lanciate dalla Procura contro i quattro agenti arrivati quella notte in via Varsavia. Alla base della sentenza, l'analisi dei filmati, dove di percosse non c'era traccia, e l'autopsia che non aveva trovato alcun segno di lesioni nel corpo di Ferrulli, e aveva attribuito il decesso alla «tempesta emotiva» scatenata dall'arresto.

Ieri, la Corte d'assise d'appello presieduta da Bruno Silocchi non cambia linea. Nel corso della sua requisitoria, il procuratore generale Tiziano Masini aveva chiesto pene pesanti (sette anni di carcere per omicidio preterintenzionale) per due degli agenti, e più blande per gli altri, accusandoli solo di omicidio colposo «per abuso dei mezzi di contenzione».

Invece arriva un'altra volta l'assoluzione piena, al termine di un processo che si è trasformato quasi in un processo ai metodi della polizia, dove si sono scontrate risposte diverse alla domanda: fin dove è lecito ad un agente spingersi per farsi obbedire, davanti a cittadini che magari non stanno commettendo reati ma non collaborano, si ribellano, insultano? «Per il procuratore generale siamo davanti a due delinquenti», aveva detto l'avvocato Pellicciotta.

«Questi sono quegli agenti che per mille euro stanno in mezzo alla strada e devono essere aggrediti, presi a testate sbeffeggiati, senza reagire. Mettetevi nelle condizioni di essere voi sul banco degli imputati». Soprattutto per i giudici popolari, deve essere stato un argomento decisivo.

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