A Sonia Bergamasco piacciono i personaggi forti e tormentati; e dopo l'Euridice di C. A. Duffy e l'Anna Karenina di Emanuele Trevi, eccola sul palcoscenico del Franco Parenti nel ruolo di Cassandra, figlia veggente di Ecuba e Priamo, condannata a essere una delle creature più infelici di tutta la mitologia. Nel testo di Ruggero Cappuccio, con la potente regia e scenografia dell'artista Jan Fabre, è una Cassandra contemporanea quella che va in scena stasera e domani, le cui profezie perennemente inascoltate sfiorano le disgrazie dei nostri giorni: dal clima impazzito alle pandemie.
Che cosa l'ha spinta verso un personaggio così castigato dal Fato?
«Mi è piaciuto subito l'approccio dell'autore a questa figura leggendaria, una narrazione visionaria in una lingua lirica e niente affatto quotidiana. L'impatto della traduzione scenica di Fabre poi enfatizza la visione potente della sacerdotessa, in dialogo con le musiche originali di Carlens, interventi multimediali e il disvelamento pensato attraverso i costumi, altro elemento forte dello spettacolo».
In che modo il personaggio di Cassandra viene riattualizzato?
«Il pubblico è trasportato in una sorta di viaggio nel tempo, con un impianto fortemente teatrale, con le parole dell'autore che prefigurano e precorrono i disastri di oggi. La contemporaneità sta soprattutto nella presa d'atto che nella storia dell'umanità non c'è mai ascolto di ciò che è già accaduto e di ciò che palesemente sta per accadere».
Una visione totalmente pessimistica.
«Quello che sta accadendo intorno a noi dimostra l'assenza di uno sguardo vero dell'uomo sulla realtà. Però dallo spettacolo arriva anche un violento messaggio di speranza».
Come attrice si sente attratta dal ruolo della «pasionaria»?
«Diciamo che mi piace il personaggio di una donna che soffre ma ha il coraggio di affrontare le situazioni difficili, anche estreme, caricandosi delle conseguenze dei suoi atti».
Il grande pubblico la conosce più per la carriera cinematografica, ma lei sembra preferire il teatro.
«Io artisticamente sono nata a teatro, ho fatto la Scuola del Piccolo e sul palcoscenico mi sento a casa. Il cinema lo amo molto, ho avuto registi importanti come Giuseppe Bertolucci o Liliana Cavani, ma trovo che ciò che accade in teatro abbia una magia unica, il palco è un luogo che genera una creatività complessa e allo stesso tempo gioco, il gioco dell'arte. Oggi più che mai, inoltre, il teatro assume un potere straordinario, il luogo dove le cose succedono e ci si incontra, qui ed ora».
Lei è anche diplomata in pianoforte al Conservatorio di Milano. La musica continua ad avere un ruolo importante nella sua vita artistica?
«Direi di più, è il vero fil rouge di tutto il mio lavoro, è alla radice del teatro e dell'ascolto: chi
non sa ascoltare non può fare arte. Quello con Carmelo Bene, uno degli incontri teatrali più importanti della mia carriera, è stato un incontro soprattutto musicale, perchè la sua voce era sempre intersecata alla musica».
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