«Non suono più, ma dirigere mi piaceva fin da bambino»

Ezio Bosso sarà sul podio dell'Europe Philharmonic: «La malattia non frena la mia gioia per la musica»

Antonio Lodetti

Lui come pianista e direttore d'orchestra «classico» era già noto nell'ambiente. Tanto da aver diretto la London Symphony Ortchestra e l'Orchestra dell'Accademia della Scala... Ma Ezio Bosso è diventato una star mediatica quell'11 febbraio 2016 quando sconvolse con tredici minuti di esibizione il Festival di Sanremo, con tutto il pubblico ad applaudirlo per svariati minuti con una incredibile standing ovation. Quel giorno il suo disco The 12th Room volò in vetta alle classifiche di itunes e gli ascolti di Sanremo ebbero una impennata incredibile. Il tutto ancora più straordinario se si pensa che Bosso è costretto su una sedia a rotelle e soffre di una grave malattia degenerativa. Non è la Sla ma - come dice lui - «una malattia dal nome complicato che non ha senso definire se non in una rivista medica».

Da qualche tempo la malattia si è aggravata e Bosso non può più neppure suonare l'amato pianoforte ma non molla, anzi, continua a dirigere orchestre con maggior impeto e passione, ed infatti domenica alle 18, nella Sala Verdi del Conservatorio, guiderà l'Europe Philarmonic orchestra eseguendo pagine di Richard Strauss (Metamorfosi e Concerto per oboe) e Beethoven (Sinfonia n.3 in mi bemolle maggiore op.55 Eroica.

«Amo la bellezza - dice - e la musica è soprattutto bellezza, è anche una fortuna. Sin da bambino giocavo a fare il direttore d'orchestra. Vengo da una famiglia umile, ho cominciato a suonare da bambino per aiutare in casa. Ero un ribelle e ho fatto fatica a farmi largo, però ho studiato all'Accademia di Vienna e per me è stata una scuola impagabile». Per lui la musica è gioia ma al contempo una coas terribilmente seria. Da Beethoven deriva molto del musicista e dell'uomo che sono - spiega - ma l'elenco dei compositori che amo è infinito. Non posso almeno non citare Bach e Il concerto per violino e La sinfonia n.4 di Mendelssohn».

Certo il suo stile di vita e la sua musica sono un esempio per tutti, come la sua vitalità che a dispetto della malattia lo porta a ricoprire molti ruoli di prestigio come quello di Ambasciatore della «Mozart14», l'associazione che porta avanti in scuole ospedali e carceri il progetto sociale di Claudio Abbado. Nella musica è serio e rigoroso e si schermisce dell'ormai antico successo sanremese: «Ci sono andato proprio per vedere da vicino quel mondo e per proporre la mia opera e Chopin in modo di farla arrivare a un gran numero di persone a cui altrimenti non sarei mai arrivato».

Una volta per tutte ha smentito la sua antica militanza pop negli Statuto: «Sono sempre appartenuto alla musica classica. Ho suonato qualche volta con gli Statuto, che erano miei compagni di scuola, ma mi hanno cacciato perché suonavo troppe note e amavo Bach. Comunque ho molto rispetto per il pop, ma le mie non sono canzoni; secondo me bisogna appartenere alla musica e raccontarsi attraverso di essa».

E Bosso lo sa fare alla grande anche da direttore, senza paura né rimpianti ma con misura e soprattutto classe. Nel suo background naturalmente c'è anche l'avanguardia e la musica contemporanea, da Pierre Boulez a John Cage passando per il minimalismo di Philip Glass.

Per valutarlo in tutta la sua abilità di direttore d'orchestra si consiglia l'album Venice Concert, che documenta un concerto tenuto nel 2017 alla Fenice.

Per valutare le sue peculiari «canzoni» basta un ritorno a The 12th Room. 12 è un numero magico per lui (che ha chiamato così persino lo sgabello su cui sedeva per suonare) ammonendo i suoi ascoltatori che «la musica è come la vita, si può fare in un solo modo, insieme».

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