Non sono trascrivibili all'anagrafe italiana «per contrarietà all'ordine pubblico» i matrimoni tra due persone dello stesso sesso celebrati all'estero tra un cittadino italiano e uno straniero. Queste nozze però sono tutelate dalla legge italiana e riconosciute, in quanto «convertibili» in unioni civili. Anche se il matrimonio fuori dall'Italia è stato celebrato prima che il nostro Paese approvasse la legge sulle unioni civili del 2016.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione nella prima sentenza che affronta il nodo della validità del matrimonio celebrato all'estero tra partner omosessuali, di cui uno italiano. Così la Suprema corte ha respinto il ricorso di un brasiliano e di un italiano, sposati in Brasile nel 2012 e in Portogallo nel 2013, che avevano chiesto all'ufficiale dello stato civile di Milano di trascrivere le loro nozze.
Davanti al rifiuto di Palazzo Marino, convalidato dalla corte d'Appello di Milano nel 2015, la coppia aveva presentato ricorso in Cassazione. Secondo i due, affiancati dalla «Rete Lenford», la conversione in unione civile rappresentava una sorta di «downgrading» del matrimonio vero e proprio. Vale a dire un declassamento di carattere discriminatorio.
Per la Suprema corte invece, si tratta semplicemente di una scelta prevista dalla «discrezionalità legislativa» che rientra nel «potere degli Stati». In particolare dell'Italia che prevede per le coppie omosessuali la forma dell'unione civile.
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