Una volta volavano candelotti e sampietrini, e non c'era sgombero che non finisse con qualche testa ammaccata di qua o di là: quando cacciarono il «Leoncavallo» dalla via omonima ci andò di mezzo persino un giornalista, entrato nel centro sociale con il casco da motociclista e randellato senza complimenti. Ma (fortunatamente) non è più epoca di scontri cruenti, e nella Milano arancione l'eterna lotta tra chi occupa e chi disoccupa si riduce a un rito poco convinto, una sorta di teatrino in cui entrambe le parti in scena recitano il loro copione con un piglio da minimo sindacale.
Proclami di resistenza da una parte, «non sarà certo uno sgombero a fermare i nostri sogni», «l'autogestione non passa mai di moda», come tuonano a mezza voce gli annunci che da ieri mattina sul sito dello Zam commentano «il ventiduesimo sgombero dell'era Pisapia»; dall'altra il Comune che finge di dialogare e finge di sgomberare, un po' ammicca e un po' mette la fascia tricolore, d'altronde è noto che il sindaco ormai di antagonisti e resistenti vari ne ha pieni le tasche, ma una rottura frontale con un universo che magari non lo ha votato ma è guardato con indulgenza e simpatia da una parte dei suoi elettori non sarebbe possibile: anche perché al voto manca ormai un anno e mezzo, e se oltre al Pd lo scarica anche la Milano arancione la riconferma per Pisapia comincia a diventare problematica.
Così da Palazzo Marino davanti a ogni occupazione si tratta e si traccheggia, in attesa che arrivino il prefetto o il pm di turno a togliere le castagne; e dall'altra parte si risponde a tono, si fa la faccia feroce, «da qua non ce ne andiamo», e poi alla vista del primo casco da celerino si arrotola il sacco a pelo, si lanciano gli ultimi due slogan e si torna a casa dalla mamma. Al più, giusto per onore di bandiera, i meno freddolosi se ne stanno un paio d'ore sul tetto, poi la noia - nemico più insidioso di qualunque sfollagente - fa sbaraccare tutto. Che senso abbia tutto ciò non è chiarissimo, tranne costringere qualche decina di poliziotti e carabinieri a fare ogni tanto una levataccia. Ma in fondo il risultato è confortante per tutti, ciascuno ha fatto la sua parte in commedia, e va bene così.
Gli unici a rimetterci, alla fine, sono i vicini di casa che per un po' di notti hanno avuto come ninnananna Manu Chao sparato a tutto volume; il padrone di casa (che a volte è il Comune stesso, vedi il caso del Lirico devastato) che deve aggiustare i danni; e i magistrati che dopo lo sgombero sono costretti a tirare le somme, perché piaccia o non piaccia occupare i beni altrui e disobbedire alle forze dell'ordine è ancora un reato. Ma pure i processi si fanno senza troppa convinzione; nei giorni scorsi la Procura ha annunciato la fine delle indagini per ventisette occupanti della «Pizzeria» di via Cola di Rienzo sgomberata sei mesi fa; tranne sei accusati anche di resistenza a pubblico ufficiale, rispondono di «invasione di edifici» che è già di per sè un reato da due soldi, punito fino a due anni ma si può cavarsela con una multa; e poi al processo spesso vengono assolti perché non erano lì ad occupare ma solo ad esprimere solidarietà.
Così il teatrino delle occupazioni-lampo
va avanti, stanco e rituale, ma è meglio così di quando volavano le molotov. Qua e là, sparsa tra le case occupate, si annida qualche testa calda in grado di fare danni peggiori: ma per adesso se ne sta tranquilla o quasi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.