Se il passato torna non è (quasi) mai per farti un favore, addolcirti il tran tran quotidiano o portarti chissà quale lieta notizia destinata a cambiarti la vita in meglio. Ne sa qualcosa Giampaolo Ferrari, 42 anni cuciti addosso come chi ha un'eccessiva «confidenza» con gli stupefacenti e la bottiglia. E commesso troppe sciocchezze, piccole e grandi. Tra queste anche un omicidio, come hanno scoperto gli investigatori della squadra mobile di Milano. L'assassinio di un poveruomo, il 63enne Matteo Musso, che non era solo amico suo, dell'assassino, ma anche dei suoi genitori. Insomma: un'assurdità. Che svelata, ora, probabilmente sarà per Ferrari, nonostante la cella di San Vittore in cui è relegato, una liberazione.
L'omicidio di Musso era stato archiviato nel 2007 su richiesta della Procura della Repubblica. Una ventina di coltellate sferrate con una violenza incomprensibile - tra cui 4 fatali tra l'addome, il petto e la clavicola - in una baracca di lamiera ai margini di via Chiesa Rossa, al Gratosoglio, che era diventata la casa di quest'uomo di origine catanese ridotto a vivere quasi come un barbone, custode di un'autorimessa. Era la notte tra il 3 e il 4 maggio 2006. Da quando si era separato Musso aveva lasciato che ad occuparsi delle due figlie fosse la moglie e viveva in condizioni al limite della povertà, ma non aveva nemici. Con un movente del delitto così oscuro e ogni ipotesi investigativa aperta era difficile per la polizia trovare il bandolo della matassa. La vita del custode di autorimessa venne scandagliata in lungo e in largo, ma sembrò che la verità sul suo barbaro omicidio fosse davvero lontana e imperscrutabile.
Passa il tempo. E il passato torna. La squadra mobile guidata da Alessandro Giuliano, infatti, una decina di giorni fa, il 26 marzo, chiede alla Procura di riaprire il caso perché ci sono nuovi elementi. Già nei guai per ragioni di spaccio e per reati contro il patrimonio, Ferrari in questi anni è stato condannato a 8 mesi per minacce alla convivente e maltrattamenti in famiglia. E durante una di queste violente liti con la compagna - con la quale convive a San Donato Milanese e ha un figlio di 10 - Ferrari la minaccia: «Guarda che ti faccio fare la fine di Matteo».
La poveretta ha paura: sa bene che il suo uomo, che all'epoca dell'omicidio Musso abitava in via Barrili, allo Stadera e quindi poco lontano dalla baracca della vittima - in qualche modo è coinvolto in quella storiaccia e si rivolge alla questura. Gli investigatori riprendono in mano l'indagine. Non solo intercettazioni: riemergono i vecchi fascicoli, anche Ferrari all'epoca era stato sentito. E nella baracca del povero Musso all'epoca era stata trovata della sostanza da taglio e non si escludeva che avesse fatto qualche «affare sporco» con l'amico.
Poi l'interrogatorio di Ferrari, venerdì sera, in via Fatebenefratelli, davanti al procuratore aggiunto Alberto Nobili, al pm Gianluca Prisco e i legali dell'accusato, i legali Angelo Colucci e Salvatore Verdoliva.
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