Se un giorno di ottobre in Arcivescovado si ha la fortuna di chiacchierare di famiglia con il patriarca dei Maroniti Bèchara Boutros Raï, che può godere del titolo di Sua Beatitudine ma soprattutto di un'aria arguta che lo rende un intellettuale molto alla mano, e se poi il giorno successivo ti trovi a discutere di una mostra trans e dell'ennesima sentenza del Consiglio di Stato sulla validità delle trascrizioni in Italia delle unioni tra persone dello stesso che in altri Paesi dell'Occidente chiamano matrimoni, può capitare di confondersi un po'.
«Da noi in Libano il matrimonio civile non esiste, esiste solo nella forma religiosa, - spiega lui - e non esiste il problema delle unioni libere, delle nozze gay. Per noi i temi importanti sono le migrazioni, i valori. Basta guerre». Non che sia tutto rose e fiori di cedro, prché sarebbe follìa anche solo pensarlo. Ma certamente chi gaurda a noi dal Medio Oriente può vedere un popolo decadente, avviluppato in questioni da tardo impero. «I musulmani sono scandalizzati dalla mancanza di fede dell'Occidente - dice il patriarca di Antiochia -. Ho sentito varie volte dire loro: noi conquisteremo l'Occidente con due armi: la fede e la natalità». E ancora: «Vedono che in Europa la fede non ha valore, le chiese sono come musei, la religione non è vissuta. E poi per loro il matrimonio è per la procreazione. Tengono molto al numero, anche a livello politico: dicono che col numero possono imporsi».
Musulmani moderati («la maggioranza», dice il patriarca) e cristiani sono abituati a convivere. In Libano hanno problemi giganteshi, come milioni di profughi (due milioni su una popolazione di quattro milioni di abitanti), in un Paese piccolo, montagnoso, ormai senza risorse, stretto dalla guerra che lo assedia ai confini. «Questo non dice nulla alla comunità internazionale?» dice il patriarca in arrivo dal Sinodo della famiglia, quasi costretto a concentrarsi sui temi che occupano le prime pagine dei nostri giornali e anche delle nostre menti. Anche in Libano, come in Italia, «entra il siriano e accetta il salario basso, apre il negozio in nero per strada e i libanesi chiudono. Noi paghiamo un grande prezzo ma non possiamo chiudere le porte» dice. E sembra spiegare così, con queste parole, qual è la sua idea di famiglia.
Così è una brusca caduta a precipizio ritrovarsi a Milano dove si disquisisce di famiglia interrogandosi se la sentenza del Consiglio di Stato del Lazio che cancella le trascrizioni delle unioni omosessuali fatte all'estero ha effetto o meno anche a Palazzo Marino. «È un procedimento che non c'entra con Milano. Qui le trascrizioni sono legali e continueremo a farle» fa sapere il sindaco, l'avvocato Pisapia. Finora le trascizioni sono state quindici. Quindici casi. In primo grado il Tar ha dato ragione al Comune (che aveva mantenuto le trascrizioni nonostante l'annullamento dei prefetti voluto dalla circolare Alfano).
Finora non c'è stato nessun ricorso al Consiglio di Stato come è accaduto a Roma (potrebbe anche arrivare, i tempi per l'impugnativa non sono scaduti).Così a Roma si fa in un modo e a Milano in un altro. E chi ci guarda da fuori continua a fregarsi le mani.
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