«Condivido il dibattito a livello nazionale. E la formulazione Bondi, che dice: decidiamo se siamo un partito liberale o un semplice partito di destra. Ma è una scelta prioritaria che si deve coniugare con il consenso popolare. E per questo serve la consultazione della base». Il giorno dopo le elezioni amministrative, che hanno riservato un risultato deludente al Pdl, il coordinatore regionale, Mario Mantovani, non si nasconde dietro il dito. E parla del futuro del Popolo della libertà: «Servono congressi comunali, provinciali, regionali. E un congresso nazionale. Così da selezionare e far emergere una classe dirigente realmente supportata dal consenso popolare e capace di sostenere l'attività del presidente Berlusconi».
Un congresso anche per scegliere il suo successore alla guida del Pdl in Lombardia?
«Anche per scegliere il mio successore. Se non sarò io...».
Che cosa significa in concreto capire quel che desiderano gli elettori?
«Interpretare i bisogni della gente significa presentare programmi credibili ed essere in grado di realizzarli, in modo da tenere saldo il patto con gli elettori, premessa sine qua non per ottenere il consenso al momento del voto».
Vuol dire che il patto con gli elettori del Pdl non è stato rispettato?
«Purtroppo l'assenza di una disciplina di partito consente la frantumazione e il frazionamento dei nostri candidati in più liste. Questo non favorisce la condivisione di un progetto comune e quindi non favorisce il risultato. I risultati sono sempre inferiori alle potenzialità che il movimento ha tra la gente».
Si riferisce alle scissioni e alle liste civiche di Gorgonzola e Cinisello Balsamo?
«Certamente. E anche a Lodi, Sondrio, alle moltissime realtà in cui il Popolo della libertà si divide in liste contrapposte. Questo non favorisce il movimento. C'è la necessità di creare un senso di appartenenza. Solo da qui nasce un riferimento agli ideali comuni. Invece c'è troppo frazionamento perché manca la tenuta ideale e ci sono molti personalismi».
Descrive una situazione difficile. Come propone di uscirne?
«Servono tre cose. Una condivisione sul piano ideale di chi siamo e dove vogliamo andare. Uno spiccato senso di appartenenza per trasformare queste idee in progetti e programmi. E serve un movimento che raggruppi queste forze, spesso contrapposte, in una leale dialettica democratica interna».
Esiste ancora la contrapposizione tra area cattolica e liberale?
«No. A volte sono personalismi, candidati che aspirano a cariche indipendentemente dalle scelte del movimento. E presentano liste autonome».
Ma il coordinatore regionale è lei. Come spiega questa indisciplina di partito?
«Serve una stagione di congressi che stabilisca le responsabilità in ogni comune e faccia selezione della classe dirigente che deve governare le comunità e le città. Aggiungo che serve il consenso popolare, persone perbene, di specchiata onestà, che sappiano raccogliere il voto della gente».
Come selezionare queste persone?
«Oltre alla stagione congressuale, sarebbe anche opportuno che alle prossime scadenze, le Europee, tutti i dirigenti e i parlamentari si candidassero e sottoponessero al vaglio popolare».
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