Luca Fazzo
«Ho intenzione di riprendermi la mia vita». Un altro al suo posto, davanti a una così plateale riabilitazione per via giudiziaria, magari si emozionerebbe un po', darebbe qualche segno di commozione. Filippo Penati è un uomo di un'altra pasta, di quella che veniva forgiata nella fucina dell'apparato comunista di Sesto San Giovanni, nell'epoca in cui sembrava che la bandiera rossa sul municipio sestese non dovesse mai essere ammainata. Così ieri alle 13, quando la Corte d'appello esce con la sentenza che chiude con un'assoluzione in massa il processo al «sistema Sesto», Penati si prende appena il tempo di chiamare casa, poi si offre roccioso alle telecamere, scegliendo e scandendo le parole come quando era il numero uno del Pd milanese: «Sono sempre stato convinto che non ci sarebbe stata alcuna possibilità diversa dalla mia assoluzione». E quando gli chiedono se la sentenza significa che il sistema Sesto non è mai esistito, dà una risposta che fa capire quanta ruggine pesi tra il vecchio leader e il suo mondo di un tempo: «Già la sentenza di primo grado diceva che il sistema Sesto qualora fosse esistito è stato successivo alle mie amministrazioni. Per quanto riguarda Filippo Penati, Filippo Penati non è mai stato partecipe».
Ma come è stato possibile che per due volte, in tribunale e in appello, siano state smentite le tesi che la Procura di Monza considerava ferree, le dimostrazioni inequivocabili di un rapporto di scambi di soldi, di delibere, di potere tra l'ex sindaco di Sesto e i signori delle aree postindustriali? Tutto passa per come sono state valutate le accuse lanciate da Piero Di Caterina, a lungo finanziatore occulto dei Ds e poi «pentito». Se le parole di Di Caterina fossero state prese per oro colato, come in altri casi analoghi, forse per Penati non ci sarebbe stato scampo. In assenza di riscontri, e anzi davanti a oggettivi motivi di risentimento del «pentito» verso i vecchi compagni, sono arrivate le assoluzioni con formula piena.
Lui, Penati, da qualche parte le cicatrici di questa battaglia le porta: anche perché il Pd decise di sospenderlo dal partito, cioè di scaricarlo.
E adesso? «Adesso mi sono iscritto al Pd, da semplice militante, il giorno dopo che il mio nome è stato cancellato dall'anagrafe dei procedimenti disciplinari». Non se ne va, non accompagna nel suo viaggio a sinistra del Pd Pierluigi Bersani, di cui era il capo della segreteria? «No. Per adesso no. In futuro, si vedrà».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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