Penati, il pg all'attacco «Testimoni da risentire sulle tangenti a Sesto»

Luca Fazzo

Se ne stanno seduti quasi accanto, il grande accusato e il grande accusatore: Filippo Penati, per vent'anni dominus del Pci e poi del Pd sestese, e l'imprenditore, Piero Di Caterina, a lungo foraggiatore del «sistema Sesto» e poi «pentito». In primo grado, Penati è stato assolto insieme a tutti i suoi coimputati. Ieri parte il processo d'appello, e si capisce subito che non sarà una passeggiata. Il procuratore generale Lucilla Tontodonati chiede che si tornino a interrogare una sfilza di testimoni, primo tra tutto Di Caterina, considerato in primo grado impreciso e inaffidabile e gravato dal sospetto di «acrimonia o rivalsa» verso l'ex sindaco. In ogni caso, dice la Tontodonati, quel che c'è nel processo basta per condannare Filippo Penati: tre anni di carcere per corruzione e per finanziamento illecito.

Per la rappresentante dell'accusa, proprio le imprecisioni di Di Caterina ne rafforzano la attendibilità: «È del tutto normale che non tenesse un conto preciso ed è anzi ciò che prova anche la spontaneità e genuinità delle sue dichiarazioni». Va ricordato che si trattava di diversità macroscopiche: una volta Di Caterina parla di tre milioni e mezzo di euro, un'altra volta di due e mezzo. Ma quel che conta per il pg è la sostanza, cioè che Penati nei due episodi di corruzione superstiti (gli altri sono stati inghiottiti dalla prescrizione), ovvero le vicende Sitam e Codelfa, ha incassato soldi per compiere atti contrari ai suoi doveri di pubblico ufficiale.

Insieme a Penati e Di Caterina, la procura chiede che siano condannati l'architetto Renato Sarno,

considerato il «collettore» dei finanziamenti illeciti a Penati, che a un certo punto ha scelto di collaborare e poi ci ha ripensato, e l'imprenditore Bruno Binasco. Prescritto l'ex segretario della Provincia, Antonino Princiotta.

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