Pisapia: per dimettersi non servono i giudici

Pisapia: per dimettersi non servono i giudici

«Bisogna distinguere la responsabilità politica da quella penale. La responsabilità politica può e deve determinare in alcuni casi le dimissioni anche se non è stata accertata la responsabilità penale». Il Pisapia-pensiero all’indomani delle dimissioni del leader Umberto Bossi da segretario federale della Lega Nord dopo la bufera giudiziaria che si è abbattuta sull’ex tesoriere Francesco Belsito. Così nel plaudere apertamente al gesto del Senatur e del figlio Renzo - non indagato, che ha lasciato lo scranno di consigliere regionale - il sindaco, in trasferta a Genova per sostenere la candidatura di Marco Doria, affonda il coltello al cuore del Pd, colpendo direttamente, ma non troppo, l’ex vicepresidente del consiglio regionale Filippo Penati, che seppur indagato con l’accusa di concussione e corruzione per l’ex area Falck a Sesto San Giovanni continua a mantenere poltrona (e stipendio) da consigliere regionale. Oltre il danno la beffa: il fatto di «aver lasciato tutti gli incarichi del Partito democratico» - come lo stesso Penati tiene a ricordare - e di aver costituito da solo il gruppo Misto in consiglio ha avuto il paradossale effetto di costare alla collettività 215mila euro l’anno tra spese di funzionamento, rappresentanza e pubbliche relazioni.
E dire che in quella stessa aula c’è chi, ben più inesperto - tanto da aver guadagnato il soprannome di «Trota» dal padre - e più «pulito» (Renzo non è indagato ma sospettato di aver usato i soldi pubblici di finanziamento ai partiti per suo uso personale), ha avuto il coraggio di dimettersi. Così la filosofia che ispira l’avvocato Pisapia, per coerenza, non può non essere applicata anche al consigliere regionale Penati, che continua a portare a casa ogni mese 10mila euro netti, frequentando il consiglio e partecipando alle votazioni, allineato al Pd, soldi cui andranno aggiunti buonuscita e vitalizio. Ma «la responsabilità politica che può e deve determinare le dimissioni» sembra essere sconosciuta in casa Penati, nonostante nel partito c’è chi l’abbia fatto notare. Un malcontento che, se è certificabile dall’esterno per la Lega, forse lo è meno per il Partito Democratico per il centrosinistra in generale, almeno ufficialmente. All’interno della Lega Nord «c’è un malcontento che sta esplodendo. Spero che anche da lì parta la volontà di un rinnovamento dei partiti - l’auspicio del sindaco arancione -. È auspicabile la capacità di partecipazione da parte di tutti in modo che non ci siano più coloro che comandano e coloro che, pur iscritti al partito, siano dei sudditi».
Ma «forse non è il caso di farsi dare lezioni dal “Trota” - scriveva su Facebook Stefano Boeri, candidato sindaco del Pd alle primarie milanesi - i suoi colleghi indagati, a partire da Filippo Penati e Davide Boni ci riflettano bene: le dimissioni da consigliere non sono un atto dovuto, ma certo sarebbero un gesto nobile e apprezzato dagli elettori lombardi». Ieri l’assessore alla Cultura, che da mesi invoca un cambiamento nel partito, è tornato sul tema: «Oggi molti commenti e reazioni alle mie considerazioni sulle dimissioni di Renzo Bossi.

Molti mi danno ragione nella richiesta di dimissioni agli altri consiglieri regionali indagati; molti temono che chiamare in causa anche il Pd (che ancora non ha discusso seriamente e pubblicamente dell’inchiesta che ha coinvolto Filippo Penati) possa farci male... In tutta franchezza: ci stiamo già facendo male, molto male, nell’accettare questo silenzio assordante».

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