Non importa chi sarà l'allenatore, è lo schema di gioco che cambia. Anzi, è già saltato. La partita delle Comunali, per il centrosinistra, è appena iniziata, ma già si capisce come andrà a finire. L'era «arancione» non esiste più. L'incognita da cui tutto dipende si chiama ovviamente Giuliano Pisapia . Il sindaco non brilla, molti nel primo partito sono insoddisfatti, ma nessuno al momento è in condizione di defenestrarlo. Anche se qualcuno fa già i conti col dopo, ma tocca a lui decidere. Solo a lui, anche in virtù delle possibili vie d'uscita - più o meno allettanti - che gli saranno offerte. Anzi, al Pd milanese una nuova candidatura di «Giuliano» toglierebbe anche molte castagne dal fuoco, e consentirebbe di prenotare per il 2018 il Pirellone, che sta a cuore a Lorenzo Guerini , ex sindaco di Lodi e oggi braccio destro di Matteo Renzi a Roma.
La successione pone due problemi: tempi e nomi. Pisapia sa che ha altri tre mesi abbondanti per sciogliere il nodo. Lui partì nell'estate del 2010 ed ebbe tutto il tempo di costruire la vittoria della primavera 2011. Il tempo c'è. Invece il nome spendibile per l'eventuale dopo-Pisapia è un bel dilemma per il Pd e soprattutto per i renziani che lo reggono saldamente a tutti i livelli. Un Piero Fassino , un nome che metta tutti d'accordo, oggi non c'è. Per questo ci si sbizzarrisce sugli identikit. I nomi. I giovani vorrebbero una di loro, una deputata che dicono stia ben figurando: Lia Quartapelle . Ai piani alti del mondo renziano piace molto l'eurodeputata Alessia Mosca . Altri parlano di Emanuele Fiano , che vanta crediti non da poco, essendo rimasto finora escluso da nomine pesanti. Gira il nome del ministro Maurizio Martina , che però è bergamasco ed è stato segretario regionale dei Ds fin dal 2006. Un nome da annotare, poi, è certamente quello di Pierfrancesco Majorino . L'assessore si sgola da mesi per proporsi come il diretto erede dell'esperienza «arancione», facendo quotidiana professione di fede in Pisapia e di lealtà per Renzi. Ed è qui che sta il vero nocciolo della questione: il segretario regionale Alessandro Alfieri ha spiegato in pratica che il «modello del 2011 con Rifondazione» non è replicabile. Majorino si è subito affrettato a contraddirlo. «La penso esattamente al contrario - ha fatto sapere - Milano deve difendere la sua esperienza. Un centrosinistra unito». Per Majorino «la radicalità di alcune proposte, ad esempio su diritti civili o questioni sociali, non va addomesticata da nessun esperimento politicista». In realtà, l'esempio di Majorino conferma che la lettura politicista è tutta sua: le «proposte» sui diritti civili altro non sono che poche e poco rilevanti iniziative adottate, e soprattutto sbandierate, con l'evidente intenzione di sbarrare la strada a un'ipotesi alternativa alla sua: l'alleanza con i centristi. Qui si parla, ovviamente, da tempo, della corsa del ministro Maurizio Lupi. Ma lo stesso Renzi l'ha volutamente bruciata. La linea renziana oggi non prevede come priorità l'alleanza con le sigle centriste (peraltro riottose o contrarie a livello locale) ma una nuova formula, in cui il Pd non è più al traino ma fa da motore all'alleanza, in posizione egemonica. Dato per scontato l'addio a Rifondazione (e non solo), anche se ci fosse un Pisapia bis (o anche se per ipotesi fosse Majorino ad incarnarlo) il tema vero è l'apertura a un mondo centrista, civico e riformista. La «lobby dei 51», l'alta borghesia che sostenne Pisapia, è sfarinata o delusa. Il blocco del 2011, questo è l'assunto da cui parte il Pd, non esiste più o deve essere rivisto. Serve un assetto del tutto nuovo.
E una nuova linea, su tutta l'agenda amministrativa, dalle privatizzazioni alla sicurezza. Secondario che poi la metta in pratica Pisapia, con un vicesindaco politico del Pd, o Majorino, o un sindaco renziano. Secondario che si passi dalle primarie. Quel che conta è la svolta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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