Pisapia a Roma fa «er mejo» sindaco

Con un bilancio sotto zero che sta rischiando di far sprofondare Milano sotto un'altra mazzata di tasse (24 milioni solo di Tares) e reduce dal fallimento di altro suo cavallo di battaglia come le domeniche a piedi già finite in soffitta insieme ad altre bufale arancioni, ieri il sindaco Giuliano Pisapia ha preso il treno. Ed è andato a Roma per lanciare il ballottaggio di Ignazio Marino, l'aspirante sindaco di Roma del centrosinistra. Un'altra partecipazione al «soccorso rosso» che puntuale chiama a raccolta ogni volta che da spingere ci sia un candidato che piace alla sinistra radical chic. E Marino ne è giusto il prototipo. Con Pisapia a cui sfugge un lapsus quando si augura che «un filo rosso presto unisca Roma e Milano». Una calamità che da lustri il nostro Paese s'è risparmiato. Perché non ha dubbi il sindaco di Milano che per scrivere il discorso intinge la penna nelle riminiscenze dell'egemonia culturale gramsciana e si augura che presto le due principali città del Paese abbiano «stessi valori e parlino lo stesso linguaggio dopo tanti anni». Magari quello del registro delle coppie di fatto varato a Milano proprio da Pisapia il cui primo atto è stato benedire il Gay Pride. O la cittadinanza, per ora solamente simbolica, ai figli degli immigrati. Battaglie, almeno dal punto di vista di Pisapia, assolutamente legittime. Ma che rappresentano un ben precisa visione del mondo e della vita. Non il bene contro il male, non la luce che sconfiggge le tenebre secondo la visione sempre manichea della sinistra. E con buona pace dei cittadini che credendo di scegliere un amministratore della città, si ritrovano con chi è pronto a vergare nuove tavole delle leggi e dei diritti. Dimenticando magari le buche sull'asfalto che ormai sono crateri o le strade che s'allagano a ogni scroscio di pioggia.
«È importante che vinca Marino - ha detto ieri Pisapia arrivando in piazza Farnese insieme a Serracchiani, Zingaretti e Zedda - perché è da tempo che non c'è una sinergia tra i sindaci delle due più grandi città, della capitale d'Italia e di quella economica». Ma come? Ma i sindaci non si devono occupare del bene comune? E che c'entrano i colori politici con i servizi sociali, i posti che non bastano negli asili nido, le strategie economiche che dovrebbero comunque portare le città a collaborare comunque. Una visione manichea, con i buoni da una parte e i cattivi dall'altra che spiega bene la faziosità di certi amministratori. «Io marcio unito con Ignazio, con Alemanno non marcio unito» ha detto Pisapia sul palco romano.

Una strana concezione del suo essere primo cittadino di tutti i cittadini. Di destra o di sinistra. Che da Pisapia preferirebbero qualche comizio in meno, soprattutto meno tasse e magari qualche promessa mantenuta in più.

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