Podestà si dimette poi ci ripensa: «Resto perché rispetto gli elettori»

Mi dimetto, anzi no, avrei tutte le ragioni per dimettermi ma resto. Insomma, le dimissioni del presidente della Provincia Guido Podestà durano il tempo di due ore. Peggio, sono un errore, un fraintendimento giornalistico, un'invenzione.
Poco dopo le 14 alle redazione arriva l'invito a una conferenza stampa in cui «il presidente spiegherà le ragioni delle dimissioni dal suo incarico». E tu che capisci? Che Podestà sta per dimettersi. Del resto è l'ultimo giorno utile per presentare la candidatura alle politiche, ci sta, anche altri presidenti di Provincia hanno fatto la stessa mossa. Per di più, su Twitter (che ormai per i politici è lo strumento delle comunicazioni che contano) esce un annuncio che ribadisce il concetto. Ore 16: «Non ho mai pensato alle dimissioni» dice il presidente di fronte a una sala che mai è stata così gremita di giornalisti. Uno scherzo? «Una forzatura non volontaria» chiarisce lui. «Hai mandato tu il Tweet?» chiede al suo portavoce Andrea Radic, come riporta anche un fuorionda ripreso dalla tv di Repubblica. «Sì» risponde lui. «È una stronzata. Se l'hai fatto mi dispiace, è una cosa inaccettabile». Sarà, ma Andrea Radic non è un comunicatore di primo pelo ed è dura pensare che abbia giocato di fantasia per dare più appeal a una conferenza stampa. O che abbia calcato la mano su una notizia del genere.
Vien più facile pensare che tra l'annuncio alle redazioni e la conferenza stampa sia successo qualcosa che abbia portato Podestà a ripensarci e decidere di restare in sella a Palazzo Isimbardi. Di sicuro una telefonata. Lui sostiene di non aver sentito Silvio Berlusconi ma ammette di aver «scambiato solo due parole con Angiolino Alfano». E proprio quelle «due parole» hanno decretato il dietro front. «Mi concentro sul ruolo di pubblico amministratore - spiega Podestà - e non di soggetto che fa politica. Il senso del dovere mi impone di rimanere e continuare il mio lavoro nel rispetto dei cittadini».
L'annuncio delle dimissione che non ci sono si traduce in un grido di dolore sui tagli della spending review e sulla morte delle province. «Non sapete quanto è difficile dirigere un ente intermedio. Le ragioni devono essere dette e portano qualcuno a dimettersi, e altro no. Io non ho mai detto di voler dare le dimissioni». Non l'avrà mai detto, ma di sicuro ci ha pensato. Soprattutto dopo le tensioni dell'ultimo periodo: la vendita di Sea e Serravalle, il Consiglio delle autonomie locali, la città metropolitana, la battaglia sulle province. E soprattutto i mancati riconoscimenti all'interno del partito.
Dove sono andate in scena screzi ed emersi mal di pancia. Le dimissioni di Podestà quindi sarebbero suonate con una specie di passo indietro.

Le due parole di Alfano hanno rincuorato il presidente pidiellino e lo hanno spronato a restare. Nonostante tutto. Niente candidatura al Parlamento quindi per Podestà. «Il patto con gli elettori e la mia maggioranza è più forte di tutto» dice lui. Ma lo fa solo nel post telefonata con il segretario del partito.

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