«Polizia e carabinieri assenti dalle indagini contro la corruzione»

«Polizia e carabinieri assenti dalle indagini contro la corruzione»

È il pubblico ministero che si occupa del pasticcio Sea, dei diamanti della Lega, delle spensierate note spese dei consiglieri regionali lombardi. Insomma: Alfredo Robledo, procuratore aggiunto della Repubblica, conosce bene sia le magagne della pubblica amministrazione sia le difficoltà che si incontrano quando si cerca di combatterle. Così l'intervista che ha rilasciato ieri a Radio 24 va letta con attenzione, perché la fonte è indubbiamente autorevole. E così tanto più doloroso è il quadro che se ne trae: quello di una corruzione sempre più dilagante e pervasiva, combattuta dalla magistratura con mezzi insufficienti e nella sostanziale indifferenza dell'opinione pubblica. Se così stanno le cose, verrebbe da dire, c'è da farsi poche illusioni sull'esito della battaglia.

Delle tre forze di polizia che lavorano abitualmente con la Procura, Robledo «salva» solo la Guardia di finanza: «Polizia di Stato e Carabinieri - dice - a Milano non hanno strutture investigative dedicate per contrastare la corruzione e i reati contro la pubblica amministrazione. Un'assenza che è segno dei tempi». E di fatto, se si vanno ad analizzare le inchieste condotte nell'ultimo anno dalla Procura di Milano sul fronte della mazzetta, il braccio armato delle indagini è sempre e solo la Finanza, come se le «fiamme gialle» avessero l'esclusiva delle indagini su Tangentopoli. Eppure, sostiene Robledo, non sarebbe certo il caso di abbassare la guardia: «Oggi il livello di corruzione - ha spiegato il procuratore aggiunto - è maggiore da un lato rispetto a 20 anni fa e peggiore dall'altro. Il fatto che i prezzi corruttivi siano molto bassi significa che è molto diffusa. Vediamo molti casi».

«La corruzione è stratificata - ha aggiunto Robledo - e le azioni di contrasto vengono viste con preoccupazione da una classe di “in-dirigenti” che si oppone in maniera ferma per rendere effettivi strumenti contro la corruzione». Ma alla ostilità della politica e della burocrazia si aggiunge una indifferenza di fondo dell'opinione pubblica, a dispetto degli appelli alla moralità che Robledo derubrica quasi ad una moda. «Tutti vogliono la lotta alla corruzione, ma è come quando negli Settanta si diceva: “facciamo una giornata di lotta” e poi si finiva in pizzeria la sera».

Inevitabile la domanda sull'inchiesta sulle note spese dei consiglieri regionali, che ha visto il magistrato mettere sotto accusa decine di esponenti di Pdl e Lega e apprestarsi ora a verificare anche usi e costumi della sinistra. Gli avvisi di garanzia già recapitati sembrano mettere sullo stesso piano spese collegabili all'attività consiliare (come quelle per i giornali o i pranzi di lavoro) e altre smaccatamente private. Ma Robledo assicura che non si farà di tutto un fascio e che si saprà «distinguere il malcostume dal reato». Davanti alle inchieste, spiega il pm, in genere la risposta degli indagati è dare la colpa all'andazzo: «Il “così fan tutti” è un po' la giustificazione generalizzata: in realtà il problema è che i controlli non ci sono».

Bastasse qualche legge in più, si potrebbe essere relativamente ottimisti: purtroppo per

Robledo «non è un problema normativo, le regole si osservano quando i cittadini le sentono come proprie. Ora non c'è responsabilità partecipativa, è come quando per strada vediamo qualcosa che non va e non si interviene».

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