Cronaca locale

"Porterò in Arabia la lezione di Milano chiesa delle genti"

Il vicario episcopale Paolo Martinelli scelto dal Papa per un territorio che va dai grattacieli di Dubai alla tragedia in Yemen

"Porterò in Arabia la lezione di Milano chiesa delle genti"

C'era una volta un ragazzino che nella Milano complicata e violenta degli anni Settanta finì le scuole medie e invece di iscriversi al Parini o al Berchet chiese ai suoi genitori di mandarlo all'istituto agrario di Treviglio. «Nessuno in casa aveva lavorato nei campi, non c'era una storia familiare da seguire. Fu una mia idea, un mio modo di essere alternativo e i miei genitori non si opposero. Per cinque anni ho fatto il pendolare al contrario, ogni mattina su e giù da Treviglio. Ero convinto che quella sarebbe stata la mia vita. Poi invece è arrivata la vocazione, quella vera».

È passato mezzo secolo e il ragazzino che sognava il lavoro a contatto con la natura è diventato un uomo che nel pieno della maturità affronta una sfida che a molti farebbe tremare i polsi. Monsignor Paolo Martinelli - ma lui si firma più umilmente Fra' Paolo - è il nuovo vicario apostolico per l'Arabia meridionale. Tradotto in concreto, significa che entro la fine di agosto partirà per una delle zone più difficili del pianeta, tra contraddizioni eclatanti, da una parte i grattacieli di Abu Dabi, il deserto rovente dell'Oman, dall'altra la tragedia senza fine dello Yemen, la guerra dimenticata da tutti. La nomina gli è arrivata in Arcivescovado, a Milano, dove da otto anni era vescovo ausiliare.

Nel mezzo cosa c'è stato, Fra' Paolo? Come si arriva dal tredicenne che faceva la spola con Treviglio al monsignore che fa le valigie per un mondo sconosciuto?

«La vocazione. Vocazione francescana, fin da subito».

Ma lei è un cappuccino.

«I cappuccini nascono nel 1525 come riforma del francescanesimo all'interno dell'Ordine francescano e facciamo tuttora parte della grande famiglia francescana. Infatti il nome proprio è frati minori cappuccini».

A Milano avete una storia importante.

«Sì, e il mio primo incarico dopo essere stato ordinato sacerdote è stato alle porte della città. Sono stato mandato a fare il cappellano all'istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone, accanto ai disabili psicofisici. Ci sono rimasto quattro anni. È stata u'esperienza bellissima, in un grande istituto e mi ha segnato per sempre».

Però poi ha lasciato la città per molto tempo.

«Non era pianificato. Sono andato a Roma a fare gli studi superiori di teologia all'università Gregoriana e al termine sono stato trattenuto lì per insegnare. Teologia fondamentale e spirituale, per la precisione. Sono rimasto alla Gregoriana e poi all'Antonianum per più di vent'anni, fino a quando nel 2014 Papa Francesco non mi ha rimandato a Milano con il ruolo di vescovo ausiliare».

Se lo aspettava? Conosceva il Papa?

«Da quando era il cardinale Bergoglio, perché dal 2005 ho iniziato a collaborare con la Segreteria generale del Sinodo dei vescovi di cui lui era membro del consiglio. La segreteria era un gruppo ristretto, ne facevano parte sedici vescovi e cinque o sei esperti, incontrandosi più volte all'anno. Quando Papa Francesco ha deciso di mandarmi a Milano, la cosa non mi ha colto alla sprovvista, qualche voce era già girata. Si sapeva che a Milano, dove era da poco arrivato il cardinale Scola, serviva aiuto. D'altronde la diocesi è vasta e impegnativa. Venimmo mandati qua in tre. Ho ritrovato amici, parenti e la Sacra Famiglia con cui non ho mai interrotto i rapporti».

Otto anni a Milano, con Scola e poi con Delpini, a occuparsi prima della «vita consacrata», le 4mila suore e i mille religiosi che vivono nelle diverse comunità negli istituti ed alcune centinaia di consacrati laici degli istituti secolari; poi si è aggiunta la pastorale scolastica. Pochi giorni fa, l'annuncio di Bergoglio: Fra Paolo deve fare le valigie di nuovo. «È stata una sorpresa, anche se ormai è una tradizione che in Arabia meridionale vada un cappuccino: adesso c'era lo svizzero Paul Hinder, prima di lui un cappuccino toscano». Lo aspettano un milione di fedeli: quasi tutti migranti, asiatici e africani che arrivano in quei Paesi per lavorare portandosi dietro la loro fede, «non tutti di rito romano, ci sono anche una comunità siro-malabarese e altri riti».

Come ha preso la decisione di Francesco?

«Con gratitudine. Mi dà la possibilità di un'esperienza pastorale diversa».

Che Milano lascia?

«Lascio una diocesi che cammina nella direzione che Delpini chiama la Chiesa dalle genti: una Chiesa e una città dove le differenze culturali sono possibilità di arricchimento. Ricordiamoci che il primo bene è vivere insieme.

Me lo porterò anche in Arabia».

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