Il premier soccorre Sala e chiede tregua ai suoi «Un mese senza insulti»

Renzi al circolo Acli di Lambrate per spingere il suo candidato «Vinciamo o perdiamo assieme»

Alberto GIannoni

Un mese senza insulti interni. Un mese di tregua. È l'appello che Matteo Renzi rivolge ai suoi dopo settimane di lacerazioni e alla vigilia di un appuntamento cruciale: le amministrative di giugno. Sulle Comunali dunque ci mette la faccia, il premier e segretario del Pd. La sua, ma anche quella degli oppositori interni.

Il presidente del consiglio è arrivato ieri a Milano ed è salito sul palchetto di un circolo Acli di Lambrate, in via Conte Rosso. È corso in città per dare una mano al suo candidato sindaco Beppe Sala, «cavallo» del Pd a Milano, sempre meno veloce a giudicare dai sondaggi. L'occasione era un incontro fra militanti. Poche decine di persone compresi tutti gli eletti e i «big» locali dal partito. Giocando in casa, Renzi ha provato a mostrarsi sicuro di sé, simpatico e perfino spavaldo. Gigioneggiando un po', ha dialogato con i sostenitori. Non ha parlato a lungo. E presto è arrivato al «sodo». Ha chiesto una «moratoria» all'opposizione interna. Ha chiamato in causa la sinistra del Pd, facendo capire che se alle Comunali perde lui, allora perdono tutti. E la possibilità di perdere a Milano non è esclusa. Anzi. La partita è aperta e a tratti il tono è sembrato quello di chi insegue. Non è mancato il classico appello ai militanti: «Scaricate la rubrica del telefonino». Poi il messaggio: «Noi non siamo un singolo - ha avvertito - siamo una comunità. O vinciamo insieme o perdiamo insieme». «Il Pd per un mese dovrebbe prendersi una moratoria dell'insulto interno» ha detto. «Renziani? Cuperliani? Siate voi stessi» l'invito un po' paternalistico rivolto ai militanti. Chiara la necessità di galvanizzare la base: «Se io dovessi leggere i giornali non mi voterei. E se guardassi i social direi: Matteo Renzi, che schifo». Ma - ha garantito - «abbiamo un calcio di rigore davanti".

Rischioso per un premier, mettere la faccia su un appuntamento amministrativo. I precedenti non sono incoraggianti, ma il segretario Pd non ha alternativa: troppo importante questa sfida che si gioca (anche) a Milano. E troppo insidioso il candidato del centrodestra, Stefano Parisi, che continua a macinare quartieri, stette di mano e apprezzamenti trasversali, svolgendo esattamente il compito che Sala doveva svolgere: puntare verso il centro, «rubare» voti altrui.

«Siamo tanti belli e colorati. Noi i candidati non li scegliamo in un palazzo» ha detto ieri introducendo Renzi il segretario del Pd milanese Pietro Bussolati. E invece è esattamente così che è andata la storia. È stato Renzi, con i suoi uomini, a scegliere Beppe Sala, allora «semplice» commissario dell'Expo. Hanno provato a «paracadutarlo» direttamente sulla scheda elettorale. Poi alcuni esponenti del Pd milanese e della sinistra hanno ottenuto le primarie, minacciando la scissione. Allora Renzi era forte, e Sala «solo» un manager. Anche per questo, forse, a quel tempo non lo ha mai investito direttamente della nomination. Non gli conveniva rischiare una debacle con un tecnico che anche ieri si è definito «un po' naif». Poi il governo del segretario Pd ha cominciato a perdere colpi, mentre le primarie hanno in parte rafforzato Sala.

A quel punto è stato il tecnico a dare l'impressione di volersi sottrarre all'abbraccio con un leader ingombrante e in fase critica. Poi Sala è collezionato errori. E oggi sono entrambi deboli. Per questo devono sorreggersi a vicenda. Ma se va male, il partito è avvisato, salta tutto.

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