Ci sono tre modi di reagire se si viene insultati per strada senza motivo: subire; rispondere per le rime; sporgere denuncia. La signora B., quando un tizio che parcheggiando in doppia fila aveva bloccato la sua auto l'ha coperta di ingiurie disgustose, ha pensato che la cosa giusta da fare fosse rivolgersi allo Stato perché il tizio venisse chiamato a risponderne. Ma la giustizia le ha risposto nel peggiore dei modi. Tra sciatteria, risposte assurde e tempi biblici, la sua denuncia è rimasta senza conseguenze per sette lunghi anni. Fino a inabissarsi nella prescrizione. Il maleducato l'ha fatta franca.
La storia inizia il 14 ottobre 2005. La signora, che è nata in Nigeria e a Milano amministra una finanziaria, esce dal suo ufficio. Trova la sua auto bloccata dal furgone di un artigiano, chiede di poter uscire, l'uomo prima se ne infischia, poi va su tutte le furie e inizia a urlarle addosso insulti irriferibili, invitandola a tornare a dedicarsi al sesso orale nel suo continente di origine. B. rimane di sasso. Non reagisce, anche perché è al terzo mese di gravidanza. Ma non vuole neanche subire. Telefona al 112. Quando arriva la Volante, l'uomo del furgone se n'è già andato. Ma B. ha preso la targa e sporge denuncia.
Un mese dopo, senza avere fatto alcuna indagine un pm chiede l'archiviazione della denuncia con un modulo prestampato «per la particolare tenuità del fatto rispetto all'interesse tutelato» e «poiché l'esercizio dell'azione penale può recare pregiudizio alle esigenze di lavoro/studio/famiglia/salute della persona sottoposta alle indagini». Non è chiaro cosa voglia dire: ma passa un anno e mezzo e, nel marzo 2007, nonostante l'opposizione della signora, il giudice di pace archivia la pratica con tutt'altra motivazione, «non sono emersi elementi utili per l'identificazione del responsabile». In realtà, sarebbe bastato fare una visura per scoprire a chi appartiene in furgone. Ma l'offesa subita dalla signora B. evidentemente non vale un simile disturbo.
Ma l'avvocato della donna, Luigi La Marca, non si arrende. Ricorre in Cassazione. E la Cassazione nel giugno 2008 annulla l'archiviazione. Il giudice di pace di Milano si adegua. A quel punto dovrebbero iniziare le indagini per scoprire finalmente chi ci fosse sul furgone. Ma passa un altro anno, e incredibilmente non accade nulla. Nel luglio 2009 l'avvocato chiede che la Procura generale avochi a sè l'indagine, vista l'inerzia della Procura della Repubblica. A quel punto qualcosa si muove. Il 9 novembre 2009 la Procura generale comunica che «l'istruttoria si è conclusa» ma - e qui la cosa si fa surreale - aggiunge che «è stata fissata in data 28 settembre 2010 l'udienza davanti al giudice di pace». Nonostante la prescrizione incomba, cioè, si dovrà attendere quasi un anno per l'udienza.
Ma il bello deve ancora venire. Il processo all'uomo del furgone - finalmente scoperto - viene rinviato di un altro anno. E all'udienza del 18 aprile 2011 lo stesso pm che sei anni prima aveva chiesto di archiviare tutto per la «tenuità del fatto» si accorge che non si tratta di semplici ingiurie ma di ingiurie «aggravate dalla discriminazione razziale». A quel punto il reato diventa di competenza del tribunale ordinario. Gli atti tornano alla Procura, e qui si inabissano.
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