«Prosciolto chi ha dato soldi a Penati»

«Prosciolto chi ha dato soldi a Penati»

Credevano davvero di fare del bene alla cultura, finanziando una associazione dedita a seminari e convegni di alto - seppur vago - profilo: e senza immaginare che i quattrini finissero invece a nutrire la corrente di Filippo Penati, presidente della provincia di Milano e astro nascente del Pd nazionale. Per questo Massimo Ponzellini, ex presidente della Banca Popolare di Milano, e altri sei uomini d'affari vengono proposti dalla Procura di Milano per il proscioglimento dall'accusa di finanziamento illecito. Hanno foraggiato Penati ma, come dire, a loro insaputa. Potevano non sapere.
Finisce così l'unico filone d'inchiesta aperto a Milano sull'ex sindaco di Sesto San Giovanni, signore indiscusso del Pd a Milano e tutor di una generazione di giovani dirigenti democratici ancora oggi sulla cresta dell'onda. Filippo Penati è sotto processo a Monza per corruzione, per gli affari sulle aree Falck e Marelli. Il filone di inchiesta sui finanziamenti sottobanco alla sua associazione, «Fare Metropoli», si è invece sdoppiato: le accuse contro di lui sono finite in un fascicolo a Monza, ancora in fase di indagini; a Milano invece la procura ha indagato sullo staff di Penati - cioè il «collettore» di finanziamenti Renato Sarno, e gli uomini di «Fare Metropoli» Carlo Parma e Pietro Rossi - e sui titolari delle aziende che nel corso del 2009 e 2010 hanno versato quasi quattrocentomila euro.
Ed ecco l'esito: la procura chiede il rinvio a giudizio dei tre dello staff di Penati e di uno solo dei finanziatori, Roberto De Santis: il quale, essendo amico personale di Penati e lui stesso militante del Pd, è «verosimile supporre che fosse a conoscenza esattamente del vero scopo dei finanziamenti in favore di “Fare Metropoli”».
A tutti gli altri sostenitori - più o meno generosi - della «sedicente associazione» (come la definisce la stessa Procura) il pm concede il beneficio del dubbio. «Essi hanno sottolineato nelle proprie difese di essere stati tratti in inganno dai rappresentanti dell'associazione stessa e di aver, in buona fede, creduto alle finalità di carattere culturale con le quali “Fare Metropoli" si presentava all'esterno». Finalità impegnative, a leggere lo statuto dell'associazione acquisite agli atti: «promuovere studi e approfondimenti capaci di alimentare la produzione di idee all'altezza delle sfide di questo nuovo secolo». Come si poteva restare sordi e avari davanti a un simile richiamo? E come si poteva immaginare che dietro l'alibi dell'«organizzazione di convegni, tavole rotonde e cicli di formazione» si fornisse carburante in contanti alla macchina da consensi del «compagno P»?
Così per Ponzellini, che alla «sedicente associazione» fece l'obolo di cinquemila euro con i fondi della banca, e per tutti gli altri che «potevano non sapere», si prospetta (se il giudice preliminare condividerà l'impostazione della Procura) la possibilità di uscire di scena senza danni.

Possibilità concessa anche a Enrico Intini, imprenditore pugliese, noto alle cronache per i suoi stretti rapporti con Massimo D'Alema: e buon amico di Roberto De Santis, anche lui pugliese, quello che per i pm sapeva tutto. Magari poteva avvisarlo.

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