Esponenti discutibili di centri sociali controversi (e a volte abusivi) giravano per Milano svolgendo servizi di natura sociale nei giorni del «lockdown». I contorni di questa paradossale vicenda emergono, seppur in modo frammentato e indiretto, dalla risposta data dalla giunta ai due capigruppo di centrodestra - Andrea Mascaretti e Fabrizio De Pasquale - che avevano chiesto chiarimenti su quanto accaduto in città nei mesi scorsi. Era marzo e aprile e la gran parte dei cittadini - soprattutto anziani - non usciva di casa per effetto di disposizioni e raccomandazioni delle autorità. Ebbene in quei giorni i militanti delle «Brigate volontarie per l'emergenza», formazioni con nomi e simboli anche inquietanti, svolgevano servizi di questo genere, e lo facevano con le pettorine del Comune. La loro presenza e il loro impegno, peraltro, è stato raccontato da alcuni articoli apparsi in quotidiani e riviste di sinistra, con buona pace della risposta firmata dall'assessore Gabriele Rabaiotti, tesa a minimizzare ma sostanzialmente non in grado di smentire queste circostanze.
«Ritengo che sia molto grave quanto accaduto - riflette Mascaretti, capogruppo Fdi - con la sua risposta l'amministrazione prende le distanze e si lava le mani, ma le spiegazioni fornite dall'assessore non sono esaustive, e sopratutto contrastano con alcune cronache, una delle quali uscita sull'Espresso». In questo articolo, fra l'altro, parla in particolare - da coordinatore - uno degli esponenti di questi collettivi. «Si tratta di un personaggio finito alla ribalta delle cronache per frasi odiose rivolte a Matteo Salvini - dichiara Mascaretti - immaginiamo cosa sarebbe successo se l'avesse fatto qualcun altro. E a questo proposito sottolineo che queste brigate erano nove, una per zona, e che una di queste è intitolata a Giulio Paggio, condannato all'ergastolo per le efferate azioni commesse come comandante della Volante rossa, l'organizzazione paramilitare comunista. Ebbene, nella risposta l'assessore dice ammesso che le Brigate si siano formalmente costituite come soggetto giuridico e ammesso che abbiano scelto dei nomi per lei discutibili; quindi quel nome per lui non è discutibile?». «La mia interrogazione verteva su questi aspetti e sulle modalità di svolgimento di quest'opera, in cui risulta che siano comparsi anche volantini politici. Comunque, in quali locali e con quali condizioni igienico-sanitarie il materiale era trattato e da chi? C'è qualcosa di preoccupante in questo sistema».
Nella risposta, Rabaiotti tende a spiegare che tutta l'organizzazione era in mano a «Milano Aiuta», una sorta di piattaforma che potrebbe aver «intercettato» associazioni, nessuna delle quali comunque legata al Comune da accordi o patti. «Non si esclude - si legge - che le Brigate siano nate in seguito all'attivazione volontaria di molte/i cittadini che in quel momento hanno sentito la responsabilità di mettersi a disposizione». Privati cittadini insomma, questa la tesi. «Ci si domanda dove stia il problema» dice l'assessore.
Ma anche De Pasquale non cede: «Chiamando lo 0202020 e arrivavano questi personaggi. Il compito di fare assistenza quindi era stato incautamente demandato anche ai centri sociali, e questo metteva anche a rischio i cittadini, anche anziani, perché nessuno conosceva lo stato di salute di queste persone, prive di formazione e preparazione.
Alla fine, forse resosi conto, il Comune ha chiesto la firma di una sorta di malleva per sollevarsi da responsabilità. Ma la vicenda testimonia assoluta impreparazione e testimonia l'abitudine di affidare agli amici degli amici questi compiti, con l'obiettivo di legittimarli magari in vista di qualche assegnazione».
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