Cronaca locale

«Quando convinsi Vancini a non buttar via il suo nome»

L'attore ricorda il regista che domani verrà celebrato alla Milanesiana con la proiezione di alcuni suoi film

Stefano Giani

I nostri giorni, passati e recenti. La Storia. Talvolta, la cronaca. L'eredità di Florestano Vancini è «come eravamo» che all'epoca era «come siamo». O come siamo appena stati. Un cinema intriso di Italia dolente e doppiogiochista. Assassina e intrigante. Quella che tesse complotti e polemizza per secoli. Parte della sua opera che scorre domani nel cartellone della Milanesiana lo conferma. Umberto Orsini, uno dei protagonisti di quella stagione, per Vancini fece il sicario.

Che cosa ricorda di lui?

«I suoi splendidi occhi azzurri».

E basta...

«La sua autorialità. Non era uomo per tutte le stagioni. Aveva idee politiche civili che lo sottraevano a quei registi comandati a bacchetta dai produttori».

Non gli si poteva affidare qualsiasi cosa, insomma.

«Era uomo che sapeva valorizzare. Con lui Franco Nero ha fatto Il delitto Matteotti che è rimasto uno dei suoi lavori migliori».

In cui ha recitato anche lei.

«Ho interpretato e in un certo senso re-interpretato Amerigo Dùmini. Ho letto tutto quello che esisteva su di lui e ne ho proposto una mia versione».

Teatro docet.

«Ho cercato di selezionare molto fra i progetti che mi capitavano riguardo al cinema. Non ero padrone delle scelte come lo sono sul palcoscenico».

Dove si sentiva a casa. Se Orsini ha lavorato per Vancini al cinema è mai capitato che Vancini dirigesse Orsini a teatro?

«Stava per succedere. Rifiutai la sua proposta di allestire un adattamento de L'angelo azzurro con Valeria Marini».

Cosa gli disse...

«Semplicemente lo invitai a lasciar perdere. Non mi sembrava degno del suo nome».

Però la Marini realizzò quell'idea.

«Ma non con Florestano, che diede retta a me».

Da «La lunga notte del '43» a «La piovra 2». Vancini è uno dei pochi autori che esordì con un capolavoro e finì commerciale.

«Apparteneva a quella schiera di autori come Bolognini o il mio amico Zurlini. Un passo indietro ai fuoriclasse. Fellini e Rossellini. Non va dimenticato che all'epoca molti di loro giravano i siparietti di Carosello per poi permettersi di fare un film».

La pubblicità è l'anima del commercio.

«Alcuni di loro hanno beneficiato di questa commistione perché non era sempre possibile fare quello che si voleva. E poi c'era chi dosava i suoi sforzi. Gillo Pontecorvo ha firmato soltanto sei film in tutta la carriera. Ma lui l'ha fregato la pigrizia».

Che rapporto ha Umberto Orsini con il cinema.

«Ho fatto ottime cose, ma anche qualcosa di bruttino. Ammetto. E ho sempre sperato che produttori e registi non se ne accorgessero».

Domani è a Milano. Che rapporto ha con la città.

«Vengo spessissimo, ho perfino casa vicino a San Babila. A novembre metterò in scena Il nipote di Wittgenstein.

Sarà l'occasione per fermarmi un po'».

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