Dopo quasi due secoli riecco «La gazza ladra» volata via dai teatri

Fu in scena nel 1841: sono passati 176 anni Dal 12 torna alla Scala, diretta da Chailly

Piera Anna Franini

La Gazza Ladra, alla Scala dal 12 aprile, è l'opera della rivincita milanese di Gioachino Rossini che consegnò un lavoro monumentale di 1000 pagine per tre ore abbondanti di musica. Per riuscire nell'impresa, si barricò in casa tre mesi: l'eternità per il velocista Rossini. Era un venticinquenne già autore di 20 melodrammi e voleva riscattarsi dalle tiepide accoglienze dei due precedenti. Correva l'anno 1817, La Gazza ladra fu un trionfo, scrosci d'applausi, chiamate al proscenio, ovazioni e repliche per altre sette stagioni, ma dal 1841 scomparve dal repertorio milanese. Per questo il suo ritorno sul palcoscenico della Scala è un vissuto come un evento.

Il progetto fa capo al direttore Riccardo Chailly che ha affidato il racconto della vicenda al regista Gabriele Salvatores, premio Oscar 1991 per il film Mediterraneo. Sul podio Chailly, mentre nel ruolo del titolo, ovvero nei panni-piume della gazza, l'acrobata Francesca Alberti. La protagonista, per la verità è Ninetta, incarnata dal soprano Rosa Feola, impegnata a difendersi dai soprusi del podestà (Michele Pertusi), figlia del fuggitivo Fernando (Alex Esposito), innamorata di Giannetto (Edgardo Rocha), cocco di mamma Lucia (Teresa Iervolino). È un'opera semiseria, leggera e volatile al suo esordio, ma poi sempre più cupa. Si sfiora la tragedia, perché c'è chi finisce in carcere, vi sono sentenze di morte infine una tremenda scarica di colpi d'arma da fuoco. Domanda: erano indirizzati a Ninetta, la condannata? No, si festeggia lo sciogliersi dell'enigma: è la gazza ad aver rubato il cucchiaio e non Ninetta. Happy end di un'opera che prese spunto da un fatto di cronaca, un piccolo furto di una cameriera poi alla forca. Il fatto scosse e ispirò Rossini che addirittura, spiega Chailly, aveva pensato a un titolo di fuoco come «Avviso ai giudici».

È un'opera tutta da scoprire e la Scala ha predisposto una serie di appuntamenti in città. Anzitutto, prove aperte, il 6 e il 7 per le università e la Fondazione Milano per la Scala, incontri alla Braidense e presso gli Amici del Loggione. Domenica pomeriggio regista e direttore parleranno dell'opera allo Spazio Teatro No'hma Teresa Pomodoro. Mentre un altro approfondimento è previsto per lunedì in via Clerici 5, con Fabio Sartorelli.

Prima domanda a Chailly. Perché questa assenza? «Alla prima prova con l'orchestra, in coda alla sinfonia, ho visto visi felici. Ma all'inizio del primo atto già si capisce che la difficoltà di esecuzione è una risposta. Date le difficoltà orchestrali e vocali, ci vuole un coraggio quasi irresponsabile per proporla». È stato predisposto un cast di 13 artisti dove - eccetto Pertusi, che brilla per cultura ed esperienza rossiniana - non vi sono stelle. Del resto, non si cercano punte, «si è pensato a un ensemble che abbia un bilanciamento vocale tra tutti i personaggi - dice Chailly -. Talvolta mi arrabbio con l'organizzazione artistica, ho dei mal di pancia per i cantanti», ma non in questo caso. Anzi, ha imposto la sua linea: non vuole sfoggi di bravura canora, le classiche acrobazie vocali in fondo a un'aria. Ci saranno, ma «mai nella nota finale. Rossini non voleva l'urlo finale».

Con Salvatores pare ci sia una bella

intesa. «È preparato. canta tutta la Gazza ladra a memoria. Ho detto a Salvatores che i recitativi li può provare anche da solo coi cantanti, però io do i tempi. E questi, salvo eccezioni, non superano mai i due minuti».

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