Quei maestri ripescati dal Ventennio

Dimenticato troppo a lungo: laVerdi ora fa riscoprire il Marinuzzi compositore

Luca Pavanel

«La simpatia verso il regime fascista è un aspetto molto complicato. Bisognerebbe analizzare caso per caso. Ed è un lavoro che spetta allo storico e non al musicista. Io, personalmente, cerco di ampliare la visione del Novecento lavorando senza pregiudizi. Vorrei che si giudicasse la musica per il suo valore e non per tutto quello che c'è intorno». Parole del direttore d'orchestra Giuseppe Grazioli - specialista e studioso del sinfonismo nazionale del cosiddetto «secolo breve», tra l'altro ora impegnato con laVerdi nell'incisione dell'opera omnia del milanese Nino Rota -: domani e domenica il maestro sarà all'Auditorium alla testa dell'Orchestra Verdi e si occuperà, oltre che delle trascrizioni per orchestra di Ottorino Respighi, di Chopin («Polacca op.40 n.1»), Rossini («Rossiniana») e Bach («Preludio e fuga BWV 532»), anche della «Sinfonia in La» di Gino Marinuzzi, direttore d'orchestra e compositore scomparso nell'agosto del 1945. «In vita Marinuzzi ha avuto molto successo, ma poi...». Poi l'oblio, o quasi. Un po' perché questo artista - al pari di altri come de Sabata, Lipatti ed Enescu - è stato un grande interprete e come compositore, pur scrivendo lavori notevoli, non è stato «visto»; un po', anzi probabilmente parecchio, per la sua «simpatia» - vera o presunta - verso Mussolini. Ma tra gli artisti e i musicisti non è stato il solo a cadere «in disgrazia».

«È un fenomeno che riguarda la generazione nata alla fine dell'Ottocento - spiega Grazioli -. Come dicevo una questione complessa, perché ci furono alcuni autori che all'inizio erano simpatizzanti, per esempio Luigi Dallapiccola (che poi prese le distanze con brani come Canti di prigionia e Il prigioniero) ed altri che scapparono dall'Italia». Per molto tempo si ascoltarono giudizi tipo «quelli non possono essere dei grandi perché hanno sostenuto il Duce». O da parte delle avanguardie dei tempi di Berio e Stockausen «quelli non erano abbastanza contro la musica del passato, fanno musica vecchia». Punto e basta.

Ma il vento è cambiato, e già da un po', anche ad opera di Grazioli e di enti come laVerdi, c'è una lavoro di «sdoganamento» di figure come quelle di Casella, Malipiero, Rieti, Alfano e altri. «E Marinuzzi, appunto - conclude il maestro - visto assieme ad altri musicisti italiani come parte di un mondo antico, epigoni del Verismo e del Melodramma, in realtà ora mi sembrano il vero futuro».

Il contrappunto della «Sinfonia in La» del compositore palermitano appare come denso e articolato, «con una invenzione dell'armonia

che non ha paralleli. Mi fa pensare ad uno strano incrocio fra Richard Strauss e Aleksandr Skrjabin. Un segno che gli italiani non facevano bene solo il Melodramma ma erano grandissimi anche nella scrittura strumentale».

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