Quelle scritte in dialetto da portare per il mondo

All'Infopoint in Galleria stranieri in coda per comprare magliette con i detti lumbard Da «Và a ciapa' i ratt» a « Tiremm innanz»

Quelle scritte in dialetto da portare per il mondo

Se diciamo «Ma cosa fai, il pirla!» a un americano, lo yankee potrà battere i tacchi dei vacheros e affermare: «E tu sei un lumbard del West». Il dialetto milanese è pistolero. Sì, potrà succedere a chi si trova dentro l'infopoint sotto la Galleria, visto che molti gadget sono scritti in vernacolo meneghino e un cartello di spiegazione recita: «Milanés: is the variety of the Western Lombard language spoken in the city and province of Milan». Ovvero: «Il milanés è una varietà linguistica della Lombardia del West, parlato a Milano o in provincia». E la traduzione anglofona di «pirla» è «moron», mentre quella italiana, sempre riportata dal cartello, è: «Dal verbo pirlare, gironzolare senza scopo, e si usa con la connotazione di stupido».

In attesa di una versione milanese di «Sex and the city» con le t-shirt made in Expo, intanto le scritte lombarde fanno colpo sulle donne. «Che meraviglia, ci sono le maglie con le frasi in dialetto». E' felice Elena, comasca, che insieme alla madre Elisa Mazzola entra nell'infopoint sotto la Galleria per comperare la maglietta grigia. Tre diverse scritte: «va' a ciapa' i ratt», «tiremm innanz!», «te g'hee inscî dà cor», ma sono tanti i commenti da parte delle due donne che vogliono portare sul lago gli indumenti in dono.

«Noi comaschi diciamo «te g'hee inscî de cor» commenta Elisa. «Questo non è dialetto milanese, le scritte sono state stampate pensando alla parlata lombarda in generale, infatti sulla maglietta c'è scritto «dà» ma si legge «de», così mi hanno detto», spiega il commesso avvolgendo le maglie, 29 euro l'una, dentro a eleganti rotoli gialli che ieri sono arrivati fino a Como, ma dal primo maggio fino ad ottobre dovrebbero attraversare tutti gli oceani del mondo, entrando nelle valigie dei turisti di Expo.

Si diverte Milano con la sua parlata antica, mettendo sul petto in bianco, rosso e nero tre motti che appartengono alla saggezza dei nonni. «Va' a ciapà i ratt» è un modo molto animalista, diremmo oggi, per dire al nostro vicino che non è per niente un gatto quanto una vecchia trappola incapace di fare il suo mestiere, visto che letteralmente significa «ma vai a prendere i topi, va!» e così si manda l'interlocutore a quel paese. Sul «tiremm innanz!» forse non c'è bisogno di traduzione dal momento che la crisi da quasi un decennio ci sta abituando a pensare: «Stringiamo i denti e tiriamo avanti». E cosa penserà uno neozelandese leggendo «te g'hee inscî dà cor»? Forse Roberto Maroni o Matteo Salvini potrebbero spiegargli che «ha ancora tanta strada da fare», ma non per tornare in Nuova Zelanda bensì per realizzare i suoi sogni.

Per Expo l'animo meneghino si è deciso ad uscire non solo sulle t-shirt ma anche su altri oggetti, come spille o fermacarte, che avvicinano lombardo a veneziano, ad esempio, e che riesumano parole sconosciute ad alcuni ragazzini che entrano nello store. «Cosa vuol dire rebelot?» si chiede uno di loro.

Allora si ritorna a consultare il gustosissimo cartello in bella vista sul banco, che traduce in inglese «mess» e in italiano «confusione». E scighera? «Mist» in inglese, mentre nella lingua sotto la Madonnina vuol dire «nebbiolina».

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