Il sindaco Sala col pugno alzato guida la curva degli ultrà... E parte il coro: «Italia, Italia...» che suona un po' di rivincita su quella notte di San Siro in cui gli svedesi ci hanno fatto fuori dal mondiale. Ora tocca a loro tornare a casa con le pive nel sacco. Milano e Cortina festeggiano, brindano in piazza, cantano e ballano. Ed è l'inizio di un'avventura che potrebbe trasformare due città, che potrebbe avere lo stesso effetto formidabile che per Milano ha avuto l'Expo. Anzi di più. É fatta, i Giochi invernali 2026 arrivano in Italia ed ora quasi certamente sarà una corsa a salire sul carro olimpico perchè tutti (ovviamente) l'avevano detto e tutti (ovviamente) ci avevano creduto. E invece no. Queste saranno sì le olimpiadi italiane, ma saranno soprattutto le Olimpiadi di Milano e di Cortina, della Lombardia e del Veneto, di Sala e di Ghedina, di Zaia, di Maroni, di Giorgetti e del presidente del Coni Giovanni Malagò che, dopo lo schiaffone grillino preso a Roma, i dubbi del governo e dopo il «no» dei cinque stelle a Torino, ha avuto il merito di continuare a crederci e di tenere unita una squadra che in questo progetto ci ha creduto subito senza tentennare. Chapeau! Non è stato per nulla facile battere gli svedesi ma ora viene il peggio, viene la parte più difficile perchè bisogna attrezzarsi, costruire, fare: non è più il tempo di sognare ma quello di lavorare. E come ha già detto il «capo degli ultrà» Giuseppe Sala non c'è un minuto da perdere se non si vuole fare la fine di Expo con tutti gli annessi e connessi. Ma c'è ancora passo da fare. Ed quello più complicato, più difficile perchè non è un progetto da realizzare, un investimento da trovare, uno sponsor da convincere. Milano olimpica non è solo ciò che è scritto nel dossier, ciò che la città è in grado e sarà in grado di offrire. E quindi impianti, strutture di accoglienza, servizi, ospitalità. Milano olimpica non è solo «danè», progetti, coperture economiche e anche politiche. Dovrà essere cultura olimpica e spirito olimpico che si può tradurre in tanti modi ma soprattutto in uno e riguarda i bambini, i ragazzi cioè coloro che quelle olimpiadi tra sette anni le vivranno in prima persona, qualcuno magari anche da protagonista. Bisogna cominciare a coinvolgerli adesso spiegando loro che un'olimpiade non è solo un grande evento ma anche pratica sportiva, cultura dello sport, lealtà, benessere. La fotografia che lo scorso anno il Comitato provinciale del Coni ha «scattato» su un campione di 20mila bambini milanesi tra i nove e i 10 anni non è incoraggiante: molti non fanno sport e il 52% ha problemi di peso dovuto principalmente a cattive abitudini alimentari e «culturali». Molti bevono, ma questo è un altro discorso. Non solo. Oggi i ragazzi vanno su un campo di calcio, su una pista di atletica o in una piscina solo perchè frequentano corsi, camp, stage. Se non ci sono quelli niente, se ne stanno a casa a rintronarsi sul cellulare. Non c'è spontaneità, non c'è passione. Tant'è che quasi nessuno si prende la briga di andarsene su un campo di basket con un pallone per vedere se c'è qualcuno che gioca, di entrare all'Arena o in un centro sportivo per correre in pista, di andare a nuotare o a pedalare per fatti suoi. Una città olimpica deve cominciare o ricominciare da qui.
Deve tenere sempre aperti i suoi impianti per permettere ai ragazzi di entrarci se ci passano davanti, se si incuriosiscono, se ne hanno voglia, se solo gli gira Deve renderli gratuiti, allegri, «fighi». Deve farli diventare qualcosa di bello, dove un giovane di 15 anni va, si diverte e magari s'innamora. E non solo dello sport...
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