Un radicale in via della Conciliazione, direzione piazza San Pietro. Manifesti e sit in giorno e notte per attirare l'attenzione di Papa Francesco. La ragione della protesta? Difendere il Cimitero dei Martiri di piazza Sant'Ambrogio dall'assalto ormai allo stadio finale del parcheggio. Lui è Lucio Bertè, già consigliere regionale e militante storico del partito di Pannella, specialista in battaglie di più o meno condivisibile principio. Non un forcone, un non violento.
Aggirarsi nei dintorni di San Pietro, però, non ha sortito al militante radicale un invito del Papa a esporre al suo cospetto drammi e preoccupazioni. Al contrario, quei manifesti e il sit in gli hanno fruttato il rimpatrio da Roma a Milano. Con foglio di via obbligatorio. E divieto di ritornare nel Comune di Roma senza la preventiva autorizzazione per due anni. Un provvedimento di pubblica sicurezza che presuppone di un soggetto dedito ad attività delittuose. A criticare la singolare decisione del questore di Roma, Fulvio Della Rocca, è la presidente dei Radicali italiani, Rita Bernardini.
Nel passato di Bertè ci sono precedenti di polizia per violazione delle normative sulle sostanze stupefacenti. Ma «per quella disobbedienza civile sulla legalizzazione delle sostanze stupefacenti che facemmo insieme a Milano in piazza della Scala nel lontano ottobre 1997 - commenta Bernardini - due anni dopo il Gip pronunciò il non luogo a procedere perché il fatto non sussiste». Il provvedimento, nel motivare il rimpatrio a Milano, sottolinea anche che Bertè nel Comune di Roma non ha fissa dimora e non vi svolge alcuna regolare attività lavorativa. È questo a far ipotizzare che il suo intento sia commettere azioni che mettano in pericolo l'ordine e la sicurezza pubblica.
Bernardini ricorda il curriculum di Lucio Bertè: nel direttivo di «Nessuno tocchi Caino», si è battuto con successo in sede Onu per la moratoria delle esecuzioni capitali nel mondo. Cinque anni fa, ha fondato l'associazione Radicali per Sant'Ambrogio.
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