Cappellino, occhiali da sole, il vocione giusto e il gioco è fatto. Tante volte qualcuno prova anche a discuterne: «fare una rapina in banca adesso è diventato così facile che ci possiamo mettere insieme io e te: adesso non usano più nemmeno le armi» etc. etc. Ma non siamo mica tutti uguali (per fortuna!). E neanche i malviventi lo sono. Quindi chiamatelo cuore tenero, rimorso, coscienza, notti insonni, illuminazione o desiderio di cambiare vita, ma lui dopo quel colpo non era più lo stesso. Il rapinatore di cui vi stiamo parlando a gennaio aveva messo a segno un colpo con tutti i crismi in un'agenzia della Carige in viale Certosa. La tecnica? La solita: cappellino da cui escono capelli brizzolati, occhiali da sole, e la ben nota frase scandita con chiarezza e tono da chi il duro lo sa fare: «Questa è una rapina».
Il colpo gli va bene, tutto fila liscio e anche il bottino è discreto: tra i 5 e i 6mila euro. E l'ignoto ladro se la batte, mentre sul posto arriva la polizia.
Gli investigatori fanno il loro lavoro: le immagini filmate dalle telecamere, le impronte. Tuttavia parliamo di un colpo come tanti. E perdipiù di un ladro mascherato, mica facile.
Intanto nella coscienza del balordo si consuma il dramma. Comincia a pensare a quel che ha fatto. E decide che non si è trattato di una rapina bensì di «un prestito senza interessi».
In banca aspettano fiduciosi: prima o poi restituirà anche il resto. Fino a ora, però, non si è più visto nemmeno un euro. Un'altro ripensamento?
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