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Il rugby nei parchi celebra il «pioniere»

Il rugby nei parchi celebra il «pioniere»

«A Cesare Ghezzi il rugby nei parchi sarebbe piaciuto». Va sul sicuro Antonio Raimondi, vocione classico del «6 nazioni» in tv, quando ieri a Palazzo Marino gli chiedono come il cavalier Ghezzi avrebbe vissuto questa novità che ha ormai ha tre anni di vita, e che da quest'anno Milano esporta qua e là per l'Italia del nord: il rugby portato nei parchi, senza spalti e senza docce (meno male, perché di solito sono ghiacciate), per avvicinare ai miti e ai riti della pallaovale i ragazzini di ogni età. Che il rugby sia uno sport da giovani e da bambini adesso è quasi una banalità. Ma il Ghezzi lo capì per primo, negli anni Cinquanta, e il suo carteggio con i tromboni della Federazione per far capire loro che la strada era quella pesa sei chili. Ma alla fine ha vinto lui.
Alla fine ha vinto il Ghezzi, e se oggi si pensa alla faccia milanese del rugby, più che gli energumeni della serie B vengono in mente le miriadi di marmocchi che ogni sabato e domenica si arrabattano sui campi della città e dell'hinterland. Ghezzi i suoi ragazzi li chiamava gamb de seden, perchè la guerra era finita da non tanto e i ragazzini avevano gli arti tutti ossa e muscoletti. Adesso c'è il problema opposto, e ad allenarsi le mamme portano frugoli da cinquanta chili, che faticano ad arrivare ad allacciarsi le stringhe. Ma poi si appassionano, e la ciccia la lasciano per strada, tra un placcaggio nel fango e l'altro.
«Rugby nei parchi» riparte questo fine settimana, e va avanti fino al 25 maggio, quando è previsto il gran finale all'Arena. Il primo appuntamento è sabato prossimo al Parco Lambro, e non sarà un pomeriggio come gli altri: perché il cuore dell'evento sarà il nuovo campo da rugby che il Comune ha realizzato dentro il parco, in via Licata, e che verrà ad inaugurare il sindaco Giuliano Pisapia. Il campo sarà dedicato proprio al cavalier Ghezzi. In uno dei rari sprazzi di concordia, quando i club milanesi hanno dovuto indicare un nome cui intitolare il nuovo impianto non hanno avuto dubbi: «Al Ghezzi». Che era nato in via Felice Cavallotti, nel 1909, e da Milano non si è mai spostato in vita sua se non per le trasferte. Persino il viaggio di nozze lo organizzò nel sud della Francia. La moglie, che era una donna di fede, era contenta, perché pensava di andare a Lourdes. Scoprì durante la luna di miele che tutto intorno c'erano Carcassonne, Perpignan, Toulouse, allora le città più rugbiste di Francia. Il Ghezzi era lì per quello.
A Milano per il rugby il Ghezzi ha fatto tutto ciò che all'epoca era possibile fare: prima come giocatore dell'Amatori e della Nazionale, poi come allenatore del Milano, infine come fondatore, presidente, allenatore, magazziniere, finanziatore e quant'altro del Chicken, la sua squadra. I semi che ha sparso sono attecchiti un po' ovunque.

E, anche se oggi va di moda un approccio un po' più soft, lui la pensava così: che il rugby è quel posto dove «i padri di famiglia inviano i loro figli ad affondare la facci a nel fango, a sventare un pericolo improvviso con una placata bruciante, ad abituare le loro costole alle gomitate nelle rimesse laterali, a determinare, nel vivo della lotta, dove finisce il loro diritto e inizi quello degli avversari. In poche parole, ad apprendere come si diventa uomini».

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