Cronaca locale

Sala ora obbliga i negozi a chiudere pure le porte Ecco il balzello antismog

Il Comune di Milano obbliga gli esercenti a installare nei negozi barriere d'aria entro febbraio. Il provvedimento ha un costo che non tutti possono permettersi, soprattutto in questa fase segnata dalla crisi economica

Sala ora obbliga i negozi a chiudere pure le porte Ecco il balzello antismog

Per molte famiglie, attività commerciali ed imprese il presente è difficile ma il futuro potrebbe essere addirittura catastrofico. E non è una esagerazione. La crisi economica provocata dalla pandemia di coronavirus sta colpendo forte. Se poi a tutto questo si aggiungono anche scelte decisamente discutibili da parte di chi guida una città e che si abbbattono sui negozi, allora ecco servita la tempesta perfetta. "Avanti di questo, oltre al bollettino dei contagi dovremo aggiornare la conta delle saracinesche abbassate per la chiusura delle attività", ha avvertito Gabriel Meghnagi, presidente dell'associazione Ascobaires di Confcommercio, in un colloquio con Libero. A cosa si riferisce?

Semplice. In nome di un estremismo ambientalista del tutto discutibile, soprattutto in questa fase storica, il Comune di Milano invece di aiutare chi è in difficoltà impone ai negozianti nuove e costose regole da seguire. L’amministrazione guidata da Giuseppe Sala ha inviato ai commercianti una nota con la quale gli invita a dotarsi, entro febbraio del prossimo anno, delle barriere taglia aria, se vogliono tenere le porte aperte delle loro attività. Una mossa che segue i dettami della politica verde, da tempo stella polare dell’amministrazione, che ha partorito le piste ciclabili. Le grandi catene non avranno nessuna difficoltà ad adeguarsi ma una famiglia che gestisce in proprio il loro negozio dovrà farsi carico della spesa."Nelle vie dello shopping", sostiene il presidente dell'associazione di categoria, "avremo porte chiuse e saracinesche abbassate. Meghnagi, inoltre, sostiene che da parte dell’amministrazione comunale vi sono indicazioni bensì solo quella che definirebbe una “intimidazione" in quanto "non prevede incentivi o contributi, ma solo l'obbligo". Nella mente di chi ha concepito questa direttiva vi è la salvaguardia dell’ambiente, come se il problema sia legato ai negozi che non hanno le barriere taglia aria.

Della questione si era già dibattuto lo scorso inverno, ben prima del disastro provocato dal coronavirus. Allora si arrivò a stabilire che non sono certo le porte aperte dei negozi a far salire il livello dell'inquinamento. Ma non è tutto. Gli impianti installati "sono tutti a norma", spiega Meghnagi, "e a certificarlo sono state aziende terze, non i montatori o i produttori". Per il presidente di Ascobaires si tratta di un falso problema di un modo per distogliere l'attenzione "dalla vicenda delle piste ciclabili e dei monopattini".

Ma vi è anche un’altra questione a cui, forse, l’amministrazione comunale non ha dato la giusta importanza. La clientela non è invogliata ad entrare il un locale che ha le porte chiuse. Non è una esagerazione ma lo dicono studi e l'esperienza diretta degli operatori del commercio. Un uscio aperto è rassicurante, un segno di benvenuto. Non sono piccoli dettagli. Secondo l'associazione di categoria, in questa difficile fase servirebbero provvedimenti distensivi e non restrittivi. "Se vogliamo aiutare Milano e il commercio liberiamo la sosta sulle strisce blu, apriamo Area B e C. Facciamo viaggiare la gente in auto, visto i problemi con i mezzi pubblici. E per chi usa metro, bus e tram si aumentino le corse. Altrimenti non ne usciremo. Continuare a penalizzare l'auto privata è sbagliato. Meglio un po' di smog in più, se questo serve a contenere i contagi", sostiene il presidente di Ascobaires.

Con il crollo delle entrate ci si chiede se davvero un negoziante può sostenere altre spese per installare il dispositivo taglia aria. Ma vi è anche un’altra questione che preoccupa i commercianti: le tasse. Confcommercio Lombardia ha chiesto di congelare le 960mila cartelle esattoriali in arrivo, sui 9 milioni previsti in tutta Italia. Per il vicepresidente, Carlo Massoletti,"in questo contesto così difficile, sarebbe servita non soltanto una proroga, ma un vero e proprio lockdown fiscale". "Auspichiamo- ha aggiunto- che il governo tenga conto delle sollecitazioni per una nuova proroga, almeno fino al 31 dicembre, dell'azione di riscossione, nella convinzione che il tema, oggi, sia quello di mettere le imprese nella condizione di riuscire a pagare il giusto in tempi e modalità sostenibili piuttosto che rincorrere ostinatamente chi, in mancanza di risorse, si trova già in una condizione di grande difficoltà".

Le imprese sono con l’acqua alla gola. Si stima che la Lombardia vedrà oltre 22 miliardi di consumi in meno a fine anno. Il forte calo dei fatturati e la conseguente crisi di liquidità stanno mettendo a dura prova l'intero tessuto economico. Un disastro vero e proprio che sta esponendo le imprese al rischio criminalità. "Il tema", sottolinea l'associazione di categoria, "è molto ampio, perché già prima dell'emergenza legata al Covid 19 le imprese si trovavano a lottare con un fisco aggressivo e, spesso, ingiusto: si pensi alla concorrenza esercitata da parte delle multinazionali del web che operano in una condizione di forte squilibrio normativo e fiscale drenando risorse all'estero".

Se a tutto ciò si aggiunge l’incubo di possibili nuove misure anti-Covid si capisce che il cataclisma è alle porte. C’è da sperare che ci di dovere intervenga subito per aiutare chi produce e dà lavoro e che oggi si trova in enorme difficoltà. Se crollano loro salta tutto il sistema.

Altro che nuove imposizioni come le barriere taglia aria volute da Sala.

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