Chiede il procuratore generale Massimo Gaballo: «Non si è chiesto chi si fosse preso la responsabilità di retrodatare i verbali a sua insaputa?».
E il sindaco Beppe Sala (da venti minuti seduto davanti ai giudici, capello un po' lungo, apparentemente tranquillo, solo una certa prolissità delle risposte a tradire il disagio): «Non è un problema di curiosità. In me c'è l'amarezza per avere in maniera inconsapevole fatto una cosa del genere. Ma non sta nel mio carattere attribuire colpe a questo o a quello».
Il D-Day del sindaco si esaurisce in un'ora scarsa, nell'aula al pian terreno del tribunale. «Spero fermamente di essere assolto», dice uscendo. In aula ha dovuto rispondere punto per punto sulla scomoda storia dei due verbali con cui nel maggio 2012 nominò la commissione per l'appalto della piastra di Expo: stessa data, nomi diversi, uno autentico e uno con la data fasulla, per sistemare il pasticcio di due membri rivelatisi incompatibili. «Riconosce questa firma?», gli chiede il giudice. «È la mia».
Come sia stato possibile, Sala lo spiega con la frenesia di andare avanti con i lavori per portare Expo a destinazione. «Quando sono arrivato la situazione era tragica, nessuno pensava davvero che ci riuscissimo». Bisognava fare in fretta, insomma: «Ogni giorno perso per me era un problema». Ed è così che sbuca dal niente, non si bene per mano di chi, il verbale retrodatato. Che Sala firma, dice, senza rendersi conto che la data era di ventiquattro giorni prima: «Di questa cosa non ho mai avuto la consapevolezza». E ora non sa dire neanche dove e quando abbia firmato: «Non mi ricordo, firmavo migliaia di carte, firmavo in ufficio, in auto, a casa».
Ma questa, obietta il giudice, era una carta importante. «Certo. Ma il mio scrupolo era che in commissione ci mettessero delle persone capaci, quindi la mia attenzione era concentrata sui nomi. Mi occupavo di meno degli aspetti tecnici e legali con cui si trovavano le soluzioni ai problemi».
In un anno di processo, chi abbia partorito la singolare idea di risolvere la rogna della incompatibilità falsificando il verbale di nomina, non si è capito: e ancora meno si è capito chi abbia materialmente steso il verbale retrodatato. Ieri il sindaco sembra voler retrocedere il pasticcio a un dettaglio tecnico, quasi irrilevante nel marasma di quei mesi di pessimismo imperante: «In quella struttura era impossibile portare a termine l'impresa».
Io, rivendica Sala davanti al tribunale, ci riuscii: «E voglio fare presente che, nonostante tutte le polemiche, la liquidazione di Expo si sta chiudendo distribuendo soldi agli azionisti». Ma dei cinque anni e mezzo passati nella trincea dell'esposizione universale dà un quadro a fosche tinte: a partire dai rapporti col Comune e la Regione. «Volevo nominare una società di ingegneria che gestisse le gare e gli avanzamenti dei lavori. All'interno non avevamo le risorse, dall'esterno nessuno ci sarebbe venuto perché l'immagine di Expo era un disastro, l'impressione era di una impresa impossibile, i soci litigavano in continuazione. Ma la Moratti e Formigoni si opposero alla mia idea». Fu così, spiega, che entrò in scena Ilspa, la società della Regione. E lì, fa capire Sala, cominciarono i guai.
Che ora tutta la saga di Expo, l'impresa che ha catapultato Milano nei percorsi obbligati del turismo e
lui in quelli della politica, si riduca ad una data su un verbale, al sindaco sembra proprio non andare giù. Certo, il verbale è lì, in aula, sul tavolo dei giudici; «Ma io quando l'ho firmato proprio non me lo ricordo...».
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