"Dal Salento al Mandarin Alla luce dei riflettori io preferisco la cucina"

Lo chef del Seta, due stelle Michelin, racconta la sua storia: "Un hotel ti insegna l'elasticità"

"Dal Salento al Mandarin Alla luce dei riflettori io preferisco la cucina"

Antonio Guida è nativo di un paesello salentino chiamato Depressa, ma non è questa la ragione per cui odia i riflettori e ha scelto l'understatement rispetto alla bagarre mediatica che avvolge i cuochi-star. La ragione è che ha sempre amato troppo i fornelli; al punto che, ai tempi in cui era alla guida delle cucine de La Terrazza Hotel Eden di Roma, nel suo unico giorno di riposo non sapeva fare a meno di sperimentare nuove ricette in una piccola trattoria di amici. Guida è anche l'esempio vivente che il lavoro paga; e infatti da quando è l'executive chef del nuovo Mandarin Oriental di Milano, ha conquistato due stelle Michelin nel giro di un anno. Prima di allora, una gavetta cominciata sulle navi da crociera e poi alla corte di big come Pierre Gagnaire a Parigi, l'Enoteca Pinchiorri a Firenze e il Don Alfonso sulla Costa d'Amalfi. Uno strano destino lo ha poi condotto alla regìa dei Grand Hotel: dopo l'Eden, il Pellicano di Porto Ercole e infine il Mandarin, dove è al timone di una brigata di 34 cuochi, 12 dei quali fedelissimi del Seta, il ristorante da 50 coperti che gli è valso il blasone. «Un tempo i ristoranti degli alberghi non godevano di buona fama - dice accarezzandosi il pizzo sale e pepe - Oggi non è più così, ma in ogni caso consiglierei a qualunque cuoco questo tipo di esperienza. Ti educa ad essere più elastico e a mettere sempre la soddisfazione del cliente davanti al tuo ego». Un'elasticità che non ha impedito a Guida di portare il suo ristorante ai vertici del gradimento del pubblico che al Seta è composto prevalentemente da milanesi esterni all'hotel. Qui può dare sfogo liberamente alle sue creazioni «che sono il frutto di tutte le mie esperienze, a cominciare da quando guardavo mia madre fare il pane alla domenica». Uno stile, il suo, che ama definire «classico-moderno», con un deciso hardware italiano, qualche strizzatina d'occhi alle preparazioni orientali e il segno indelebile della lezione di Gagnaire. «Per me resta il Mozart della cucina, mi ha insegnato che una ricetta non è mai davvero conclusa ma va continuamente sfidata». Lo sguardo alla tradizione è inevitabile per l'executive chef di un hotel internazionale, ma le sue rivisitazioni sono ormai una sorta di marchio di fabbrica. Quasi impossibile per lui togliere dal menù piatti come la sua versione del «Riso in cagnone», rivisitato con una crema di riso alle erbe e polvere di lamponi. «Ma mi è capitato di emozionare i clienti più anziani anche con i miei bottoni ripieni di casseula e ostriche. Il mio piatto del cuore? L'anguilla laccata al vino rosso con fegato grasso e salsa al rosmarino; l'ho inventato qui, con il mio sous-chef Federico Dell'Omarino». Per il lunch ha creato il menù Carte Blanche, tre portate a sorpresa per degustare le sue creazioni con i tempi della pausa pranzo.

La sera, invece, il tavolo più gettonato del Seta è lo «chef table per due persone» che sta proprio in cucina, a tu per tu con i cuochi. «È l'unico da cui si vedono uscire tutti i piatti e in cui il cliente vive la passione e il lavoro della brigata». Come a teatro.

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